E’ diventato imperatore della Cina, Fabio Cannavaro, ma non può non guardare a casa sua, alle cose che succedono in quella che resta, inevitabilmente, una grossa parte di cuore.
Una qualificazione agli ottavi di finale di Champions può essere una scintilla per la squadra, come dice Ancelotti? «Certo, può essere perché vincere aiuta a vincere. Ma il problema è il campionato, non il passaggio agli ottavi che mi pare obiettivo che è lì a un passo. La squadra si è allontanata troppo dalla vetta, il rischio è fare un campionato neutro che il Napoli non si può permettere».
Perché le due facce tra la Champions e la serie A? «La Champions ti dà un adrenalina differente, prima e dopo certe partite in Europa è difficile motivarsi. Devi avere una spinta in più per farlo».
Che idea ha del ritiro? «Non aiuta mai una squadra che gioca ogni tre giorni. Come si fa ad accettare di stare lontano da casa anche quando non c’è una partita? Per questo è il buon senso che deve prevalere sempre».
La via d’uscita è cambiare allenatore? «Non è la cosa giusta. Non sempre si va a migliorare».
C’è stata una volta che da calciatore hai avuto benefici dal cambio di tecnico? «A Madrid nel 2008 la società mandò via Schuster e la squadra venne affidata a Juande Ramos. Alla fine perdemmo lo stesso la volata con il Barcellona ma vincemmo 18 partite consecutive».
Perché il cambiò portò benefici? «Perché la squadra era appagata dai successi dell’anno prima e l’arrivo di un allenatore con stile diverso, rigido, fu in grado di ricompattare ogni cosa. Mi è capitato anche quando ero a Parma anche è peggio».
Dunque se arrivasse Gattuso? «Spero che Carlo riesca a superare questo momento. Ma non dipende solo da lui: serve una squadra unita, seria, concentrata su quello che c’è da fare, dove ogni chiacchiera deve essere cancellata. Si sprecano troppe energie a parlare delle cose negative».
A quante rivolte ha preso parte da calciatore? «Al Napoli, quando ero giovane. Eravamo pronti a fare guerra a Ferlaino. Fu bravo Lippi a rimetterci sulla rette via».
L’impressione che sia un Napoli alla fine di un ciclo. Come si riparte? «Non è che è la fine. I cicli sono così, bisogna vedere come finiscono e come uno li vuol fare finire».
In stagioni così tormentate qual è la cosa più giusta da fare? «Mantenere la tranquillità. Sembra una cosa banale ma non lo è. Perché al Napoli non c’è. È un momento in cui si può anche andare peggio e poi diventa tutto ancora più complicato. Anche per i calciatori. Loro hanno vissuto i momenti belli, conoscono solo l’amore della città per i propri idoli. Ma il passo è breve: perché se i risultati poi diventano più deludenti, Napoli può diventare anche la città più brutta al mondo».
Il Mattino