Dossena: “Un gruppo di ferro ed un San Paolo che non ho mai visto”

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Il grande sogno e la grande amarezza. Era la stagione 2011-12, quella in cui Andrea Dossena era uno dei titolarissimi di Mazzarri. 33 presenze in campionato (condite da 2 gol), 4 in coppa Italia e 4 in Champions. Dossena ricorda con grande emozione la conquista della coppa Italia che a Napoli mancava da una vita.

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Una stagione indimenticabile, quindi? «Nello spogliatoio ce lo siamo sempre detti: la vittoria della coppa Italia resterà sempre il nostro fiore all’occhiello».
Anche più di quegli storici ottavi di Champions? «Sì. Perché la coppa è qualcosa da mostrare ai tifosi e da portare a casa. Unica nel suo genere».
Eppure in campionato non andaste benissimo… «È vero, il quarto posto era il nostro obiettivo iniziale insieme alla coppa Italia e lo mancammo per una sola posizione. Quella è rimasta l’unica macchia di una grande stagione. Con la squadra che avevamo noi competere su tre fronti era complicato».
La vostra forza? «Il nostro era gruppo forte. Sapevamo di avere un’ossatura importante e dovevamo fare bene il nostro lavoro. Tanto c’era Cavani che un gol lo faceva sempre, il Pocho qualcosa la tirava fuori, Hamsik si faceva trovare pronto nei momenti più delicati e noi dietro ci muovevamo bene».
Cosa aveva di così speciale il vostro gruppo? «Eravamo così uniti che gli italiani erano diventati sudamericani e i sudamericani erano diventati italiani. Ci trovavamo bene. Anche se va detto che quando vengono le vittorie è sempre più semplice lavorare. Il gruppo compatto lo fanno le vittorie anche se in certi ambienti arrivano le vittorie pur con un gruppo normale».
Il Napoli di oggi sembra privo di un gruppo solido… «Il gruppo che stiamo vedendo ora a Napoli si deve aggrappare alle partite importanti per trovare fiducia. L’obiettivo minimo deve essere quel quarto posto che vorrebbe dire Champions perché per la qualificazione agli ottavi manca solo l’aritmetica anche se dispiace perché poteva arrivare come primo e affrontare un ottavo più semplice».
Ma vincere in Champions può aiutare anche in campionato? «Una bella partita in Champions ti può dare grandi energie, ma oramai dall’ultima gara vinta con grande merito, quella contro il Liverpool è passata una vita».
Che ruolo ha avuto Mazzarri in quella stagione? «Era un sergente di ferro, ma fino a un certo punto. Qualche strigliata ai singoli che sgarravano la faceva eccome, ma poi ognuno sapeva stare al suo posto. Si lavorava tanto sul campo. Forse è quello che viene un po’ a mancare oggi».
Lei come viveva i ritiri? «Il ritiro non serve a nulla. Detto questo, però, i giocatori hanno sbagliato nel rifiutarsi di andarci. E i tifosi hanno sbagliato contestando. Anche perché ci sono certi elementi di questa squadra che sono incontestabili».
Il momento decisivo nella vostra cavalcata Champions del 2011? «Per me è stata la gara con il Manchester City: è stato lo spartiacque decisivo. Credo che un San Paolo come quella sera non l’ho mai visto. Era strapieno e carichissimo. Arrivava il City che aveva giocatori importanti, ma noi eravamo forti delle nostre convinzioni».

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