Renzo Ulivieri: “Per gestire una simile situazione dovrei andare a lezione da Ancelotti”
Ai microfoni del CdS Renzo Ulivieri parla del campionato di Serie A e, in special modo, di due squadre, dei loro particolari momenti e dei rispettivi tecnici:
Preferirebbe essere nei panni di Ancelotti o in quelli di Conte? «Io? Io volevo essere Liedholm».
Perdoni, ma a ricordarla all’opera non si direbbe. «Infatti ci ho provato per cinque minuti, poi ho lasciato perdere. E ci ho riprovato per altri cinque minuti. Niente da fare, tornavo a essere Renzo Ulivieri. Eppure quanto mi piaceva quel modo di fare, quell’aplomb!».
Ancelotti è della stessa scuola, ma basterà questo per gestire una situazione così pesante? «Secondo me un tecnico esperto come lui questa situazione la utilizzerà. Anche per riprendere in mano la squadra. Non gli è mai sfuggita, in effetti, ma un richiamo alle responsabilità non guasta».
Ai giocatori, colpevoli o innocenti, girerà la testa in quel caos. «Al contrario, queste vicende ricompattano la squadra. Si tratta di giocatori di alto livello, risponderanno a tono. Il motivatore sarebbe utile a chi va a lavorare in fornace, non a chi gioca a pallone. Non penso proprio che la stagione del Napoli verrà compromessa da queste vicende. Al contrario, potrebbe essere l’avvio».
Ancelotti ha sbagliato qualcosa negli ultimi giorni? «No, nulla. In generale la gestione del gruppo, i ritiri e quant’altro si concordano tra allenatore e società. Con i professionisti occorre un po’ di cautela perché le questioni interne acquistano risonanza, si gonfiano come sta accadendo adesso. Se si è arrivati a questo punto, qualcuno avrà sbagliato. Talvolta però situazioni simili vengono innescate ad arte. Per stimolare».
E funziona? «E’ un tentativo. Naturalmente non so se al Napoli sia andata proprio così».
Non ricordiamo un caso tanto eclatante di giocatori che si rifiutano di andare in ritiro. «Accadeva e non usciva sui media se non mesi dopo, quando nessuno ci pensava più. E’ capitato tante volte, come no. Anche con le mie squadre. Magari veniva il capitano e diceva: mister, se si va in ritiro si finisce per giocare male. E se ne discuteva».
Ah, se ne discuteva. «Tranne che con Anconetani. Decideva lui, punto. E aveva fior di allenatori, con personalità non inferiore a quella di Ancelotti».
Per Ancelotti può aver pesato il fatto di avere imposto il figlio come suo vice? «Quando le cose vanno male si cercano le spiegazioni più strampalate. Un club è un’azienda privata, un allenatore idem e fanno gli accordi come vogliono. Quando si parla di relazioni familiari nello staff della Nazionale allora sì, ci andrei più cauto».
Al posto di Ancelotti, lei che cosa farebbe? «Sbaglierei. Perché prenderei la faccenda di punta. Non gli do consigli, al contrario in un caso simile dovrei andare a lezione da lui».
Conte è più simile a Ulivieri, all’apparenza. «Siamo tutti diversi, italiani e in quanto tali difficili da etichettare. Conte è un istintivo, tuttavia non penso proprio che quel discorso alla fine della partita di Champions League sia scaturito dall’arrabbiatura. Se l’è preparato. Persona intelligente, sa quello che dice».
E che cosa voleva dire, secondo lei? «Gli allenatori fanno valutazioni tecniche. Non astratte, molto concrete: il valore della rosa rapportato agli obiettivi della società. Quindi per esprimere un giudizio bisognerebbe sapere esattamente che cosa la società sta chiedendo al tecnico. Ciò che di certo sappiamo è che Conte vuole arrivare e vincere. Almeno lottare fino alla fine per vincere. Non parte con l’idea di stare cinque anni a costruire. Ovviamente sa benissimo che in Italia questo è possibile solo se vai alla Juventus».
Allora finge di non saperlo. «No, è che va alla ricerca dell’impresa. Quando sa che la sua squadra, per dire, è da quarto posto urla che vuole arrivare primo a dispetto di qualsiasi destino. L’uomo è fatto così».
E’ il suo limite? «Se lo prendi, è perché lo vuoi in quel modo. Comunque sia Napoli sia Inter usciranno da questo periodo complicato».
Anche per gente come Ancelotti e Conte oggi è più difficile mantenere il controllo dei propri giocatori? «Quando io ho smesso brontolavo sui giovani d’allora, di che testa avessero. Poi, siccome un po’ di cervello m’e rimasto, ho capito che erano semplicemente diversi da quelli di prima. Ero io a essere incapace di adattarmi. Non è più difficile, è solo differente».
Sembra un’annata letale per gli allenatori. Bastano due risultati storti e si viene messi in discussione. «E’ una stagione particolare, nata tra tante tensioni e con molte panchine nuove a cui servirebbe tempo. Stiamo assistendo a scossoni che di solito si verificano tra gennaio e febbraio».
Può essere che Ancelotti, Conte, ma anche Sarri, che hanno lavorato all’estero, si aspettassero vita più facile al ritorno in Italia? «Conte neppure al Chelsea ha trovato il tappeto di rose. Ma qui in Italia, è vero, non c’è niente di facile. Il nostro calcio è complicato e carico di tensioni. Mi pare che neppure Sarri sia ancora riuscito a trasmettere identità alla Juventus. Probabilmente non ne sente neppure tutto quel bisogno, con la gente che ha».