Il Procurtatore AM Federico Cafiero de Raho: «Calciatori e clan, il rischio c’è bene la stretta di De Laurentiis»

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Federico Cafiero de Raho al microfono di Giuseppe Grimaldi:

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«Lo sport ha un importante ruolo nel gioco della trasparenza, della integrità e della correttezza. Le mafie sono entrate anche nel mondo del calcio. Bagarinaggio e influenze negli incontri, calciatori del Napoli che hanno rapporti coi camorristi. L’antidoto a tutto questo sono le regole: e chi opera nello sport e chi lavora nello sport deve ancora di più reagire alle situazioni che creano scorrettezze». Le parole del procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho risuonano nel salone che ospita a Formia il corso per formatori tecnici di taekwondo e vengono immediatamente rilanciate sia negli ambienti sportivi che in quelli giudiziari.
A chi o a che cosa si riferisce esattamente quando parla del mondo del calcio?
«Nel mio intervento ho fatto riferimento a tante situazioni e a varie indagini, ribadendo il concetto che occorre evitare ogni sorta di inquinamento negli ambienti sportivi e tenere alta la guardia».
Ma ha fatto riferimento anche ad alcuni calciatori del Napoli che hanno rapporti con i camorristi. Può chiarire questo passaggio?
«A dire il vero ho parlato di tante situazioni: dagli ultras juventini legati alla ndrangheta al calcio-scommesse, per finire alle numerose inchieste in materia di frodi sportive. Ho anche fatto riferimento alle stesse frequentazioni pericolose tra alcuni calciatori del Napoli, e non solo, con alcuni ambienti camorristi. Ma ho parlato in generale, e senza riferirmi a situazioni particolari. E aggiungo che bene ha fatto il presidente del Napoli, De Laurentiis, a inserire una clausola generale di contratto che impone a tutti i calciatori della squadra di non avere alcun tipo di relazioni con soggetti legati a ogni forma di criminalità».
Lei ha una visione privilegiata dei fatti e delle indagini in corso. Senza entrare ovviamente nel merito delle inchieste in corso, che cosa la preoccupa maggiormente in questo momento?
«Le mafie in Italia oggi traggono profitti economici enormi quantificabili in 30 miliardi di euro l’anno. Una cifra immensa. Questi soldi vengono poi fatti confluire nella cosiddetta economia legale sotto varie forme. E qui subentra purtroppo anche lo sport».
In che senso?
«A volte le mafie cercano anche di acquisire società sportive minori che creano consenso nei luoghi dove operano: lo fanno soprattutto le cosche siciliane e calabresi. In fondo è la storia che si ripete: non dimentichiamo che Pablo Escobar arrivò ad acquistare una società calcistica che militava nella prima serie colombiana. La verità è che le società sportive – a cominciare da quelle calcistiche – rappresentano un boccone ghiottissimo per la criminalità organizzata».
E dunque, riflettori puntati sempre più sul mondo del calcio?
«Sul calcio, ma non solo. Tra doping, frodi sportive, corruzione che investe anche soggetti terzi come gli arbitri, lo scenario è vasto e densamente popolato. Posso comunque dire che ancora oggi assistiamo nel calcio a situazioni di grandi e potenziali rischi che permangono».
Ma perché le mafie corrono sempre più spesso anche dietro l’acquisizione diretta o indiretta che sia di una società sportiva calcistica?
«Perché crea consenso».
E negli altri sport che succede?
«Il fenomeno, come il rischio, è assolutamente trasversale. Basta ricordare gli effetti del doping o delle frodi sportive che hanno investito altri settori dello sport: ricordo che un modello di campione del calibro di Mike Tyson dopo anni fu costretto ad ammettere di essersi dopato facendosi beffe degli stessi arbitri-controllori che dovevano verificare il momento in cui faceva la pipì e utilizzando l’urina del figlioletto…».
E, al di là della repressione, come si superano tutti questi rischi?
«Al di là della posizione rigorosa che dobbiamo tutti assumere, l’antidoto a tutto questo resta il rispetto delle regole. Chi opera e chi lavora nello sport deve ancora di più reagire alle situazioni che creano scorrettezze». Fonte: IL MATTINO

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