Il “pezzotto” costa più di un miliardo a radio e tv. In Italia 5milioni di truffatori
Federico Bagnoli Rossi:
«L’operazione della scorsa settimana da parte della polizia postale e della guardia di finanza è stata certamente una delle azioni di contrasto più importanti contro le organizzazioni delle tv pirata. È stato un duro colpo perché l’indagine si è sviluppata non solo in Italia, ma in più Paesi europei». Federico Bagnoli Rossi, è il segretario generale della Fapav, la Federazione per la tutela dei contenuti audiovisivi e multimediali a cui sono associate tutte le maggiori case di produzione di contenuti televisivi e cinematografici, oltre a broadcaster come Sky e Dazn. La Fapav è stata creata nel 1988, ma se prima bisognava contrastare lo smercio illegale di videocassette e dvd, oggi l’improba impresa è quella di smantellare le Iptv, quei collegamenti fraudolenti utilizzati almeno da 5 milioni di italiani per vedere cinema, serie ed eventi sportivi con costi irrisori.
Lei dice che l’operazione svolta la scorsa settimana è stata importante, ma lo sa che a Napoli in un paio di giorni è stato rimesso nuovamente in piedi la cosiddetta Pezzotto tv?
«Lo mettiamo nel conto che alcuni servizi possano essere stati rimessi in funzione, ma le forze dell’ordine, con cui siamo costantemente in contatto, ci hanno assicurato di aver sferrato un colpo importante: qualcuno sarà tornato online, ma molti dei pirati sono stati messi in fuori gioco».
C’è persino chi, come i gestori della piattaforma ITrustStream, uno dei canali privilegiati dai pirati, ha diffuso un video su Youtube per rassicurare i clienti sia sui loro dati personali che garantendo la risoluzione immediata dei problemi scaturiti dall’intervento delle forze dell’ordine. E ha avuto ragione.
«L’intervento della polizia postale è andato a intaccare i luoghi di smistamento e tante centrali creando un disservizio importante. Di questi annunci, pur se quello di ITrustStream è veritiero, ne registriamo a decine. Spesso però c’è chi emula, chi millanta e in alcuni casi dietro c’è anche una sorta di strategie commerciali per traghettare i clienti da un’azienda ad un’altra».
Appare però chiaro che per quanto si cerchi di combattere la pirateria sembra una lotta impari. Basta semplicemente cambiare server per i pirati e la diffusione dei canali illegali ricomincia. Non pensa che bisognerebbe colpire anche gli utenti finali?
«La lotta va fatta a 360 gradi. Le Iptv stanno intaccando in maniera impensabile la nostra industria come mai avvenuto. E la cosa più grave è che il pezzotto viene percepito dalle persone come uno strumento legale. Le industrie investono denaro ma intanto perdono almeno un miliardo di euro all’anno di fatturato diretto o indiretto. E sugli eventi sportivi ormai siamo su numeri da capogiro con un fenomeno costantemente in crescita. La gente non se ne rende conto, ma questi mancati introiti causano la perdita di almeno 6mila posti di lavoro e poi c’è un aspetto culturale che è ancor più difficile da debellare».
Ad esempio?
«Il 38 per cento degli italiani ammette di aver commesso almeno un atto di pirateria digitale, ma il numero arriva quasi al 50 per cento se parliamo di ragazzini tra i 10 e i 14 anni. Se i più giovani si abituano a queste reti illegali vuol dire che neppure in futuro c’è speranza».
Crede servano nuove leggi?
«Vista la velocità con cui i pirati cambiano i propri metodi dei miglioramenti sono certamente possibili per adeguare gli strumenti legislativi. Al governo chiediamo tre cose: attenzione verso le iptv illegali, contro il camcording con persone che vanno al cinema e riprendono i film in sala per poi riprenderli, poi un’enorme campagna di comunicazione per far percepire che questi fenomeni sono illegali».
A cura di Valentino Di Giacomo sulle pagine de Il Mattino