Lo Scrittore, sceneggiatore Maurizio De Giovanni ai microfoni de Il mattino
«Sfido chiunque abbia vissuto quelle stagioni memorabili a non esserlo ancora».
Le immagini che arrivano dall’Argentina ci consegnano un Diego stanco, provato, quasi irriconoscibile.
«In linea con tutto ciò al quale ci ha abituato l’uomo».
La prima sensazione, a pelle?
«Umanamente ho provato un’enorme tristezza. Stento a credere che quella persona abbia incarnato lo sberleffo al potere del Nord e glorificato Napoli».
Non fa quasi più notizia vederlo ridotto così malconcio.
«Infatti la cosa sorprendente è che pochi si sorprendono. Io per primo».
Il nostro campione è giunto al crepuscolo?
«Quello prima o poi arriva per tutti. Il problema è quando arriva e come arriva. Nel caso di Diego, se di crepuscolo si tratta, mi pare abbia accelerato i tempi. Stiamo parlando di un uomo che non ha ancora raggiunto la soglia dei sessant’anni, una fascia di età durante la quale di solito si è ancora energici e in buona forma».
Dà l’impressione di essersi lasciato andare volutamente, giusto?
«Questo non posso saperlo. Gran parte della famiglia gli è ancora vicina, ha figli e nipoti ma non so se ha la convinzione di poter e dover essere un punto di riferimento per tutti quanti».
Si potrebbe immaginare, adesso, un ritorno sulla retta via?
«Non ci sono molte speranze. Fa male al cuore dire che le condizioni attuali sono in linea con il percorso fatto in questi ultimi anni. Ma il Maradona di oggi è la logica conseguenza del declino iniziato parecchio tempo fa».
Il ritorno in campo, l’euforia della piazza, il contatto con il pallone possono fare il miracolo o siamo all’ennesimo fuoco di paglia?
«Questa nuova esperienza sulla panchina del Gimnasia La Plata chissà che non lo aiuti davvero, tutto sommato è rientrato nel suo mondo. Potrebbe esserci il miracolo, certo, del resto quando parliamo di speranza non si smette mai di voler credere».
È lui stesso che deve trarre motivazioni dall’interno oppure ha bisogno di un segnale forte che arrivi dall’esterno?
«Esiste, secondo me, una sola àncora di salvezza e si chiama famiglia. Anche perché presi individualmente, gli vogliono bene. Diego junior ad esempio, che tutti conosciamo bene, lo adora. Se posso permettermi di dare un consiglio, faccio un appello alla famiglia: salvate Diego. Nella sua vita ha elargito tanto amore e benessere, ritengo che come uomo e come padre gli sia dovuto tanto affetto».
Viene in mente il solito detto: si raccoglie quello che si semina.
«Ha salvato la propria famiglia, l’ha tirata fuori dalla povertà che era ancora un ragazzino. La famiglia sta facendo lo stesso con lui adesso?».
Lo storico preparatore atletico e amico ai tempi di Napoli, Fernando Signorini, sostiene che esistono due personaggi: uno è Diego, l’altro è Maradona.
«È verissimo. C’è quello che notiamo in pubblico e quello che invece si guarda allo specchio e si tiene dentro un’infinità di problemi. Questo vale per gran parte di quelle persone che interagiscono con le masse e fanno vita pubblica: sul palcoscenico si interpreta sempre un personaggio differente da quello della vita privata».
Chissà, magari continuando a recitare Maradona in campo, Diego potrebbe riprendersi.
«È stato uomo di campo, calciatore inarrivabile ma prima o poi sapeva che sarebbe finito tutto. Come è accaduto nella Roma con Totti, che non è riuscito ad affermarsi come dirigente. Non ho mai immaginato Diego dietro una scrivania, nemmeno come uomo-simbolo del Napoli come aveva in mente De Laurentiis: quale immagine produttiva potrebbe proporre?».
Cosa resta di Maradona oggi nella nostra città?
«Un legame passionale immenso: ci siamo amati».
Della serie, chi ama non dimentica?
«In confronto ad oggi, i ricordi, le gioie, la tenerezza di allora mi danno un po’ di sollievo».
Diego soffre di solitudine?
«Purtroppo sì. Ma una cosa è certa: a Napoli non si sentirebbe mai solo».
Fonte: Angelo Rossi (Il Mattino)