Cannavaro, da Totti a Sarri, da Insigne al pianto quando andò alla Juve. Fabio a 360°
Fabio Cannavaro, il capitano di capitan Totti in Germania nel 2006, in quel mondiale che ci vide per l’ultima volta in cima al mondo, lo abbraccia dalla Cina. «Lo so che è un momento difficile, lo so che è dura e capisco pure cosa voglia dire con quel era meglio morire. Ma pensi alla sua fortuna, quella di aver giocato tutta la vita a casa sua. Ed aver vinto. In quanti hanno vissuto il suo sogno di difendere i colori della squadra del proprio cuore?».
Il napoletano ai microfoni de Il Mattino:
Cannavaro, è una storia che finisce in maniera dolorosa quella della Roma e di Totti?
«Da anni consigliavo a lui e a Daniele (De Rossi, ndr) che era giusto fare esperienze altrove, di spezzare da soli il cordone ombelicale con il proprio club. Per quanto doloroso, lo immagino, sarebbe stato meno sofferto. Ma adesso lo strappo è stato più brutale e la ferita brucerà molto a lungo».
Già, Totti sembra davvero l’abbia presa male.
«Perché le società sono così: appena la bandiera diventa un problema prima la maltrattano e poi l’abbattono. Senza rispetto, come se la storia e le rinunce fatte per restare tutta la vita lì non abbiano alcun valore. Ma è questo il calcio».
Verrebbe da dire, così fan tutti?
«Già, perché la Juventus con Del Piero e Buffon cosa ha fatto? Fino alla fine se li è tenuti stretti ma appena loro sono divenuti qualcosa di complicato da gestire hanno indicato la porta e li hanno invitati a togliere il disturbo. Con cinismo, freddezza e indifferenza».
E se poi le bandiere decidono di andare via?
«Ecco l’ipocrisia: i calciatori diventano dei traditori, dei voltagabbana, tutti sono lì a dire che non rispettano la maglia, che lo fanno per soldi. Ma anticipare le cose, andar via prima di sentirsi un peso, qualcosa da sopportare è la cosa migliore da fare. Il calcio è questo e Totti l’ha pagata sulla sua pelle. Ma è stato un uomo che ha avuto una fortuna straordinaria: giocare nella squadra per cui ha tifato da bimbo, per cui ha fatto il tifo, per cui è andato in curva».
A lei questo sogno è stato negato?
«Già, a 20 anni. I tifosi venivano sotto casa mia e urlavano Fabio, non te ne andare. Io li rassicuravo, dicevo che non ne avevo alcuna intenzione, mi vedevo a vita nel Napoli dove avevo fatto persino il raccattapalle e avevo inseguito per le strade il mio mito Krol, ma poi mi dissero che dovevo farmene una ragione perché Ferlaino mi aveva venduto già da 10 giorni».
Sarri e Conte hanno fatto delle scelte che i tifosi non hanno preso bene?
«I tifosi hanno ragione, ma gli altri no. È una follia poter credere che Sarri o Conte dovessero rifiutare Juventus e Inter ovvero le due panchine più prestigiose d’Italia. Sono discorsi che si possono fare nei bar, ma la ragione e il sentimento nel calcio non vanno mai d’accordo.
Per chi è più dura?
«Ma certamente per Antonio. Io neppure mi ricordo quanti anni è stato nella Juve. Lui è un pezzo di storia della Juventus, un simbolo. E so bene io a che punte di odio è arrivata la rivalità tra Juve e Inter nel passato, visto quello che ho passato dopo il trasferimento da Milano a Torino. Ma anche qui: che fa il professionista Conte? Dice di no perché ha indossato altri colori nella sua carriera? Ma non c’è logica in chi chiede una rinuncia di questo tipo, è qualcosa di inaccettabile».
Diverso il discorso di Sarri, non trova?
«No, anzi. Trovo persino meno accettabile il clima di contestazione che so si sta vivendo nella mia città in questi giorni. D’altronde, quanti anni è stato l’allenatore del Napoli? Tre anni. E sono un periodo troppo piccolo della sua vita calcistica per poter pretendere chissà quali scelte, chissà quale fedeltà. Ma poi a chi vive il calcio come un mestiere bisogna solo chiedere di dare il 101 per cento per la società con cui è legato da contratto. Ed è quello che Sarri ha fatto come dimostrano i 91 punti conquistati nella sua ultima stagione».
La scelta di Sarri è un doppio schiaffo per Allegri?
«Ma non credo che Max la viva così. Lui anche si era convinto di essere arrivato al capolinea, secondo me. La Juventus ha deciso di voltare pagina, di sposare il gioco di Sarri. Evidentemente non è stato semplice per i dirigenti bianconeri conquistare il campionato in Italia ma vedere lo show che offriva Sarri con il Napoli».
Ma alla Juve non conta solo vincere?
«E non mi pare che abbiano preso un perdente. Uno che al primo anno al Chelsea ha conquistato l’Europa League ed è arrivato terzo in un campionato dove ci sono il Manchester City e il Liverpool e che in serie A ha lottato per tre anni ad armi pari con la Juve per lo scudetto non penso possa essere considerato non all’altezza della Juve».
Però, non sarà semplice per Ronaldo e company capire il calcio di Sarri
«Vero, ci vorrà del tempo. Sicuramente più del tempo che servirà a Conte per prendere possesso dell’Inter».
Questa può essere una buona notizia: il campionato può vedere la fine della dittatura juventina?
«Questo non lo so. Ma di certo, passare dal gioco di Allegri con quasi tutti i giocatori dietro la palla a quello propositivo di Sarri, dove è un continuo attacco degli spazi, una ricerca costante del recupero palla, un lavoro certosino alla ricerca del divertimento non sarà una cosa immediata».
A Ronaldo Sarri piacerà?
«A Cristiano piace chi gli fa fare gol. E poiché il gioco di Maurizio non potrà che esaltare le sue doti, sarà un amore a prima vista».
In tutto questo c’è il Napoli.
«Carlo deve continuare sulla strada iniziata quest’anno. Il secondo posto è un buon punto di partenza, ma ora serve un mercato importante, degli innesti di spessore perché Ancelotti è bravo, forse tra i più bravi di tutti, ma senza calciatori non va da nessuna parte».
Giusto o sbagliato ripartire con Insigne al centro del progetto tecnico?
«Bisogna capire una cosa: quando il Napoli perde può mai essere solo e sempre colpa di Lorenzo? Perché ormai è così, se gli azzurri vincono gli applausi sono per tutti, se perdono la croce è addosso solo a Insigne, capro espiatorio di tutto e tutti. E allora così non va bene».
Che tipo di innesto serve a questo Napoli?
«Lo sanno Carlo e De Laurentiis. Anche se leggo che va via Albiol e non è un buon segno. A meno che non arrivi davvero Manolas: lui e Koulibaly sono il top nella difesa uno contro uno a tutto campo, davvero formerebbero una coppia micidiale».
Cosa la incuriosisce di più della prossima serie A?
«Il Milan di Giampaolo, un tecnico che ha idee e personalità. Raccoglie il testimone da un super allenatore, perché Rino Gattuso è stato capace di gestire quella che era una polveriera».
Dalla Cina come vede la rinascita dell’Italia di Mancini?
«Che bello vederla giocare. Era ora! Abbiamo vissuto il dramma dell’eliminazione dai mondiali, ma finalmente arrivano dei segnali confortanti. Roberto ha messo su un grande gruppo, una squadra vera. Ma non bisogna dimenticare le prestazioni dell’Under 21 di Gigi Di Biagio, dell’Under 20 e dell’Under 17. Finalmente si torna a essere competitivi, a battagliare. Poi vinci o non vinci conta fino a un certo punto. L’importante è che sia arrivata la scossa che serviva».
Ormai lei è uno dei pochi nostri top allenatori che resiste all’estero. Non le manca nulla dell’Italia?
«Ho tre anni di contratto, un progetto lungo. Oggi ci sono gli ottavi di Champions con lo Shandong e ho una squadra ringiovanita che guarda al futuro con entusiasmo. Io qui sto bene, ma quando finirò voglio una panchina italiana».
Lo dica fin da adesso: non allenerò mai…
«È una follia. Allenerei qualsiasi squadra. Questo è un gioco che lasciamo fare nei bar».
Fonte: Il Mattino