La Figc ha avviato la proposta per riconoscere il “professionismo” nel calcio femminile

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Conviene approfittarne adesso per il professionismo nel calcio femminile,  cavalcare l’onda e non scomparire come una bolla di sapone. Le donne ai Mondiali femminili vincono, divertono, accendono i televisori, richiamano sponsor, risvegliano coscienze. Quando a Girelli è stato detto “avete unito l’Italia”, lei, calciatrice di razza e carattere, a prescindere dai tre gol rifilati alla Giamaica, e donna intelligente ha risposto: «Questa cosa mi fa sorridere, noi siamo sempre state qua». E già… della serie voi dove eravate? E allora visto ora che ci sono tutti, è necessario che l’emozione intorno ai risultati si trasformi in qualcosa di più concreto. Al di là del punto d’arrivo che la bella Italia di Bertolini raggiungerà (o che ha già raggiunto con l’accesso agli ottavi), è importante approfittare del clamore per rivedere lo status lavorativo delle calciatrici, come ha detto lo stesso presidente Figc, Gabriele Gravina, a fine partita venerdì sera e ribadito ieri a Rimini a margine dell’evento “The coach experience”, la fiera degli allenatori. «Abbiamo suggerito una proposta che consentirebbe alle società di calcio femminile di attutire l’impatto dei costi del professionismo, beneficiando di un credito d’imposta da reinvestire nel settore giovanile e nelle infrastrutture – e ancora – Non si discute il riconoscimento di diritti, ma bisogna appesantire di eccessivi oneri fiscali un mondo che ancora cerca equilibrio». 
Esatto. Ha ragione il presidente Figc, il riconoscimento di diritti pensionistici, sanitari, di fine rapporto, di maternità eccetera eccetera, non si discute. Ma vanno chiarite due tre cosette a beneficio di chi salta sul carro e urla al professionismo: c’è una legge che lo regola ed è la n.91 dell’81 e dice che sono le federazioni a deciderlo. Teoricamente se la Figc decidesse che le calciatrici sono professioniste queste lo sarebbero. La Federazione però sa che l’impegno sarebbe troppo oneroso per tante piccole società che finirebbero per scomparire. E infatti la proposta non parla né di professionismo né di semiprofessionismo, figura che non esiste, bisognerebbe inventarla e normarla.
L’impegno della Figc a favore delle donne è noto e le parole di Gravina lo testimoniano, ma forse il primo vero passo da fare sarebbe completare l’opera della Divisione di calcio femminile, avviata durante il commissariamento e non ancora terminata con i suoi organi. In questa sorta di Lega i club avrebbero modo di incontrarsi, studiare e proporre una strategia. Il dibattito è aperto, non si faccia finire tutto in una bolla di sapone, e si facciano passi che la gamba può, nel rispetto sempre di donne calciatrici, indiscutibilmente lavoratrici. Fonte: Cds

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