«Non so se va alla Juventus, ma spero tanto che Maurizio Sarri torni in Italia. La serie A ha però bisogno del suo gioco coraggioso, della sua organizzazione e della sua spavalderia». Arrigo Sacchi, il profeta di Fusignano, ha appena scritto un libro «La coppa degli Immortali» sulla Coppa dei Campioni conquistata dal suo Milan nel 1989 e su quella squadra che stregò il mondo.
Trent’anni dopo tocca a uno dei suoi eredi, Sarri, salire su un trono europeo. «Ma lui era già un vincitore. E lo sarebbe stato anche se avesse perso la finale con l’Arsenal. Il valore tecnico del suo gioco è qualcosa che deve fare onore a tutti coloro che amano questo gioco. Che lo ricordo: ha come finalità attaccare e non difendere. Ecco lui, come io con il mio Milan, è stato capace di portarci fuori dalla visione che all’estero hanno del nostro calcio».
Poteva e doveva vincere anche con il Napoli un anno fa? «La sua vittoria è stata morale. Perché con la sua organizzazione e la sua bellezza è stato l’argine, l’unico argine, allo strapotere della Juventus. Che, e nessuno lo dimentichi, ha nella sua storia, nelle sue coppe vinte, nel suo fatturato, un vantaggio di partenza di almeno 5 punti rispetto a tutti gli altri».
Se andasse alla Juve? «Non lo so. Non ho la sfera di cristallo. Ma dico che quando è andato via dal nostro Paese mi sono rammaricato, perché la serie A perdeva uno dei pochi allenatori capaci di avere uno stile, un’armonia. Il Chelsea non ha avuto il gioco armonioso del suo Napoli ma ancora una volta Maurizio ha dimostrato intelligenza, assorbendo critiche e incomprensioni».
Ancelotti è stato all’altezza? «Sì che lo è stato. Ma lui è il top. Carlo, come altri due o tre allenatori del campionato italiano, ha mostrato coraggio. Il tatticismo non porta da nessuna parte, la gente va allo stadio per vedere i gol e lo spettacolo altrimenti non ci va. E non è un caso che i nostri stadi sono sempre meno pieni».
Lei pero, racconta nel suo «la Coppa degli Immortali», alla Juve non ci andò. «Era il terrore di Berlusconi che potessi andare ad allenare lì. E allora lui sapete che fece? Dopo che decisi di lasciare la panchina del Milan mi continuò a pagare per un altro anno. Finché non arrivò la Nazionale. Non voleva che finissi da loro».
Che stagione è stata per il Napoli? «Positiva. Carlo dà emozioni ai calciatori che allena. Il Napoli ha brillato, con un paio di giocatori che hanno tirato i remi in barca ed è evidente, ma non ditemi di fare i nomi, che c’è chi poteva fare qualcosa in più. Deve trovare un po’ più di ossessione nel suo gioco, ma Ancelotti ha esperienza e intelligenza non comuni. Io l’ho voluto nel mio Milan a ogni costo: i medici mi dicevano che aveva un ginocchio che funzionava al 20 per cento ma io dissi che avevo bisogno della sua testa in mezzo al campo».
Il cambio di panchina, al di là di chi andrà, può dare un po’ di equilibrio al prossimo campionato? «Eccetto quattro o cinque squadre, e tra questi c’è il Napoli, vedo fare in serie A le stesse cose che vedevo fare 40-50 anni fa. A dominare, c’è sempre la paura. Ma il calcio è uno sport di squadra, lo dicono i padri fondatori. Ma noi siamo stati capaci di tramutare un gioco di squadra offensivo in un gioco di squadra individuale e difensivo. Perché per molti allenatori il primo obiettivo è distruggere e non costruire. A livello psicologico, uno che si difende sempre non ha né coraggio né ottimismo. E così, come pensiamo di poter raggiungere il livello della Premier?».
La grande bruttezza del nostro calcio la fa arrabbiare? «Certo. Chi adotta un sistema puro? Pochi. Carlo è uno di questi, con i terzini che fanno le ali ogni volta che si può. Ma gli altri? Io difendevo su Maradona e Careca con Franco Baresi e Filippo Galli. Due attaccanti, due difensori. Poi nel movimento, ci può anche andare il terzo, ma non nella staticità. Il calcio è questo: invece da noi vedo che per un attaccante ci sono tre difensori. L’Ajax è una squadra di bambini ma avete visto il coraggio nell’uno contro uno con la Juve? E il Liverpool che spinge con i due terzini come se fossero due esterni d’attacco anche quando è in vantaggio?».
Conte all’Inter. «È una garanzia, è un gran colpo, ma ora Marotta deve fare un gran lavoro con la società perché lui sa bene che il club con la sua competenza e con le sue conoscenze viene prima della squadra e la squadra viene prima di ogni singolo. Anche alla Juventus, sulla loro pelle, hanno capito che anche con il miglior singolo al mondo non è sufficiente per vincere».
Ad Ancelotti cosa manca per vincere col Napoli? «Ha un club importante che lo sostiene, senza debiti, che rispetta le regole finanziarie. Ha un gruppo che ha sfiorato lo scudetto con Sarri e che con lui ha giocato ad alti livelli. Quindi è cresciuto molto anche a livello di conoscenza e di capacità di fronteggiare le emozioni».
Tutte finaliste inglesi nelle coppe. Sembra come nel 89 quando il Napoli vinse la Uefa e voi la Coppa dei Campioni. «Il Milan ha dato una spinta incredibile a tutti quanti. Il mio Milan è stato considerato dall’Uefa la più grande squadra di club di tutti i tempi. Era un motivo d’orgoglio. Anche altri hanno vinto, ma è il modo con cui lo abbiamo fatto ci ha fatto amare da tutti. Vincere, convincere e divertire. Come provano a fare Ancelotti e Sarri».
Fonte: Il Mattino