De Laurentiis: “Insigne è ormai diventato il simbolo della napoletanietà”
Il presidente del Napoli parla di Insigne e della riunione dell'Eca
Ascoltare e fare tesoro, poi eventualmente proporre. Tra una chiacchiera sul Napoli e un pensiero al futuro del calcio europeo, Aurelio De Laurentiis, in un’intervista rilasciata al Corriere dello Sport, ha fatto sentire la sua voce anche a Madrid. Accompagnato dall’ad Andrea Chiavelli, ha capito la posizione delle European Leagues presiedute da Javier Tebas, numero uno della Liga, che ha organizzato il meeting. Poi, però, il pensiero è andato per un attimo alla stagione che si sta per concludere e che da domenica scorsa ha visto il suo Napoli ottenere aritmeticamente il secondo posto a tre giornate dalla fine.
Ancora dietro la Juve, ma stavolta nell’anno in cui ha preso Ronaldo. «Ci siamo permessi di battere società che hanno un fatturato più alto. Io sono soddisfattissimo. Molti mi hanno mandato messaggi di adesione continua al nostro progetto, che va avanti. Non bisogna mai dimenticarsi che Ronaldo è quel plus inimmaginabile. Prendersi una rivincita contro un giocatore che da solo fa la differenza diventa molto complicato. Poi non bisogna dimenticarsi che la Juventus aveva una continuità di allenatore, noi avendolo cambiato è come se avessimo ricominciato da capo. Il secondo posto è importante, siamo a 10 punti dall’Inter, 14 dal Milan e 15 sulla Roma e le milanesi fatturano molto più del Napoli: questo lo dobbiamo sia alla nostra capacità di fare impresa, sia all’allenatore che abbiamo scelto».
Insigne sta aspettando un incontro per il rinnovo. Si è chiarito con lui? «Insigne non aspetta un incontro con me e nemmeno un rinnovo, al massimo un prolungamento. Se vuole rimanere con noi a vita allora ce lo dice e noi facciamo un’eventuale discussione su come tenerlo a vita e farlo diventare un simbolo ulteriore del Napoli, anche se già lo è vista la sua napoletanità».
Ma è il capitano che rappresenta meglio il Napoli dopo Hamsik? «Insigne è napoletano, quindi come napoletano ha tutte le credenziali per essere capitano. Queste però sono cose che bisogna desiderare, volere e attuarle facendo anche presa sullo spogliatoio. Un vero capitano non è solo quello che porta il gagliardetto o la fascia, ma è anche quello che sa parlare alla squadra e sa come convincerla a poter raggiungere determinati traguardi».
Il San Paolo così come è stato progettato per le Universiadi le piace? «Gli stadi oggi dovrebbero essere concepiti in un altro modo. Io non avrei ridotto la capienza a 55 mila, ma ancora di più, dando più spazio alla visibilità per gli spettatori. Però questo sarà un secondo round che affronteremo dopo le Universiadi: la pista d’atletica, del resto, non può permettere un miglioramento della visibilità. Non è solo un problema del San Paolo, però. Anche all’Olimpico di Roma la partita si vede molto poco».
Lei da che parte sta, da quella di Tebas o da quella dei top club che vogliono una SuperChampions, magari a inviti? «Io sono contro la Superlega, sono per un campionato europeo parallelo che si giochi dal martedì al giovedì e che preveda 80 squadre divise in 8 gironi. Qui a Madrid si sono fatte tante chiacchiere, ben vengano incontri come questi, ma Tebas fa il politico e deve dare addosso agli altri. Non ha centrato il problema: vuole fare il Robin Hood della situazione, è un imbonitore. Sembrava un j’accuse all’ECA, che ha 332 club tra i più importanti d’Europa e che ci ha fatto ottenere cose da Fifa e Uefa che prima non avevamo, come i rimborsi per i giocatori impegnati con le nazionali, le polizze assicurative e gli indennizzi in caso di infortuni. Qui, invece, nessuno ha parlato dei procuratori, che sottraggono soldi al calcio. O di come combattere il fenomeno degli E-Games: i ragazzini adesso preferiscono i videogiochi e disertano gli stadi».
La Redazione