De Laurentiis dal CdS: “La napoletanità appartiene al codice genetico”

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Datemi un pallone: l’estate del 2004 (e chi può averla dimenticata?), con le uova che volavano nell’afa e nel dolore, e un utopista che s’aggirava a Castel Capuano, dove s’era infranto un sogno. «Abbiate fiducia». Quindici anni e non sentirli affatto, perché intanto dalle scartoffie della Fallimentare è riemersa la speranza e poi è divenuta una certezza che si chiama Napoli, l’anti-Juventus per eccellenza, capace di vivere in questa Galassia ch’è il calcio da protagonista, di lambire lo scudetto e di regalarsi un orizzonte. Il tempo è volato via e qualcosa è cambiato: è finita l’epoca opaca e ora c’è la trasparenza, c’è vita, c’è di nuovo un pallone che rotola, vibrando e non è un’utopia. Si chiama Napoli. 

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E’ arrivata la Partita e Napoli si è svegliata, presidente De Laurentiis.
«E non può che farmi piacere: questa serata ha sempre un suo perché anche in termini sociali. Si grida al miracolo di Milano, ritenuta dagli indicatori di massa, la città guida dell’Europa e mi viene da ridere, perché gli italiani sembra che ignorino il valore di Napoli, di Roma, di Firenze, di Venezia, di Palermo, di bellezze naturali e dunque artistiche turistiche, capaci di attrarre uomini da ogni angolo della Terra. La cultura è qua».

Spostiamoci nel calcio e stavolta l’etichetta di Napoli-Juventus la scelga lei.
«E’ la sfida delle sfide ormai da dieci anni. Napoli e Juventus sono i club che sono riusciti a rianimarsi dopo gli sconquassi del passato, il Fallimento per noi e Calciopoli per loro. Si possono considerare due regine europee da fare anche invidia ad altre Nazioni. Ci piacerebbe poter ospitare in un contesto più italiano e meno discriminante».

Leggiamo due riferimenti nella sua risposta: uno è all’apertura del San Paolo ai tifosi ospiti.
«Senza entrare nel merito della decisione, non posso notare la diversità di trattamento dell’Osservatorio che, con leggerezza, permette agli juventini di venire a Napoli, mentre è stato vietato ai nostri tifosi di andare a Torino».

L’altra considerazione è sul San Paolo.
«Sarebbe bello poter far vivere questa nottata a chi vorrà esserci in uno stadio bello come lo è quello della Juventus. A breve firmeremo una convenzione con il Comune per il prossimo decennio e dopo le tanto attese Universiadi cominceremo, mi auguro, a ragionare su un impianto all’altezza di una squadra che da quando è rinata ha dimostrato sempre di volersi migliorare e di puntare in alto».

E’ soddisfatto del suo percorso e si avverte nelle sue frasi.
«Direi che ormai è da un decennio che ci sono due società capaci di non perdere colpi. Siamo l’espressione di dinastie che, ovviamente nella loro diversità, rappresentano una realtà del nostro calcio».

Non mancano i detrattori, né le contestazioni da stadio: un’«accusa» ricorrente è la sua «romanità».
«Ripenso a mio padre che a ventidue anni, con due lauree e una specializzazione andò in Bulgaria. O a mio zio, che lasciò Napoli a 14 anni. Ma nessuno ha mai dimenticato la propria napoletanità, quella appartiene al codice genetico».

La sua ferita per lo scudetto dell’anno scorso non s’è cicatrizzata.
«Le ferite, quando sono profonde, restano nell’anima e non nella carne. E quella è aperta e lo resterà per un po’, penso. Che gatta ci covi, sulla conduzione dei campionati, è un sospetto di parecchi, mica il mio. E che ciò sia un male comune diffuso in altri tornei, è un fatto. Però vorrei fosse chiaro un aspetto: il Var è stato istituito per evitare errori arbitrali. E se non viene usato con coscienza, pensar male è inevitabile. E di dubbi ne ho avuti tanti nella passata stagione».

Il 2018: l’anno dei rimpianti.
«Mi è dispiaciuto anche come abbiamo trattato l’Europa League. E poi come non ci si sia resi conto di quanto fosse forte questa squadra».

Ancelotti in love…
«Mi colpisce la sua serenità ma principalmente la capacità di riprodurre se stesso in ogni angolo d’Europa, elemento che non appartiene a chiunque, a chi per esempio non riesce ad ottenere gli stessi risultati in altri luoghi. Lui invece è sempre lo stesso, ti offre la percezione di essere sempre vivo, pure in assenza di risultati momentanei. E’ contagioso con la sua tranquillità, coinvolto ed esigentissimo. Ed ha uno staff incredibile».

E vuole restare a Napoli a lungo, qualcuno sospetta per sempre.
«Mi farebbe il regalo più bello della mia esistenza. E poi mi permetterebbe anche di andare più spesso a Los Angeles a realizzare ciò che non ho potuto negli ultimi quindici anni. Mi verrebbe da dire, e lo dico anche se immagino poi le battute: ma quante centinaia di milioni di dollari ho perso, in questi tre lustri?».

Domenica, a Parma, avete chiuso con un bel po’ di «bambini» in campo – Meret, Luperto, Fabian Ruiz, Ounas – e una squadra giovanissima. 

«Il futuro deve essere del Napoli. Fino a quando non mi stancherò, porterò con i miei figli questa squadra dove merita di stare. E prima o poi ci toglieremo anche la soddisfazione dello scudetto. Il mondo è in rapida trasformazione, anche il calcio lo è, ma noi siamo al passo con i tempi, come dimostra la nostra storia recente. Siamo stati protagonisti e vogliamo rimanere tali».

Su Icardi s’è sparsa una voce: Juve o Napoli sarebbero priorità. Lei tre anni fa ci provò, molto seriamente.
«Ma certe cotte hanno un loro momento. Da ragazzi è successo a tutti, senti pulsare il cuore d’estate poi torni a scuola, rivedi quella compagna di classe, e ci sorridi su. In questo, difficile si riproducano sentimenti e situazioni. Non facciamo collezioni di numeri 9. Abbiamo abbassato l’età media e continuiamo su questa nostra filosofia che ci ha portati a Meret e a Fabian Ruiz, tanto per fare due nomi. Ma anche Malcuit, che si sta imponendo: quanti avrebbero pensato che sarebbe diventato così funzionale?».

Lozano ha 24 anni, Fornals ne ha ventitré.
«Ed è vero che mi piacciono sia l’uno che l’altro, ma questo non basta, come sapete. Ogni anno entrano nuovi attori, che mesi prima non godevano di attenzione: noi stiamo al gioco, anche se adesso le figure dei procuratori rendono più complicate situazioni apparentemente semplici».

State per annunciare i rinnovi di Zielinski e di Milik.
«Fanno parte della famiglia. E a meno che qualcuno di noi non si innamori di altro, immagino che siano dei nostri anche in futuro e per lungo tempo».

Il mercato è un’ossessione popolare.
«Il lavoro di questi quindici anni, nella sua gradualità, ha dato frutti. A Napoli sono approdati calciatori di assoluto livello, alcuni già fatti, altri da noi scoperti e lanciati fino all’esplosione internazionale. Abbiamo un allenatore esperto come Ancelotti, che non mi ha spinto per ora verso calciatori di una certa età super-affermati».

Cosa succederà la prossima estate?
«E’ presto per sbilanciarsi o, peggio ancora, dare indicazioni. Non saremo assenti, non lo siamo mai stati e se questa Napoli-Juventus è diventata un Evento, un motivo dovrà pur esserci».

Stava per strappare Allegri alla Juventus.
«Quando lo chiamai, era ancora impegnato. E quando si liberò, io avevo già stretto la mano a Benitez. Però chapeau per tutto quello che ha saputo fare, per i trofei vinti, per la capacità di essere sempre padrone delle varie situazioni. Non so se abbia qualcosa in comune con Carlo, certamente sono diversi nella loro espressione calcistica: con Ancelotti ci si diverte di più, mentre Allegri mi pare abbia l’ossessione del risultato».

Domani la Juventus e giovedì l’Europa League.
«Gara difficilissima, ricca di insidie, perché questi del Salisburgo corrono e nel loro piccolo mi ricordano – fatte le proporzioni – il Liverpool. E bisogna essere attenti, rigorosi, per affrontarli senza sufficienza e cercando di non subire gol all’andata». Fonte: CdS

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