Ciro Muro: “L’orgoglio di quella foto con Diego e il peso di quella dieci!”

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Sul display, al momento della telefonata, compare una foto. Uno scatto con Diego Maradona, una sorte di reliquia per Ciro Muro, napoletano doc ed ex giocatore del Napoli. Qualcosa da conservare gelosamente, come tutto ciò che riguarda la stagione 1986-87, quella trascorsa con la maglia azzurra insieme al campione argentino. Oggi, Ciro Muro, nell’ attesa della chiamata giusta, aiuta i ragazzini delle scuole calcio a migliorare la tecnica individuale e lo si può vedere, ancora alle prese con il pallone, sui campi del torneo Intersociale, dove con i suoi piedi magici continua a regalare colpi di rara bellezza.
Ma torniamo a quella foto con Diego, che valore ha per lei? «Enorme, e infatti è esposta qui nel mio salotto in una cornice. Si tratta di una foto scattata al centro Paradiso tanti anni fa. Fare una foto col miglior giocatore al mondo non è poco».
E lei non solo ha questa foto, ma con Maradona ci ha anche giocato: che rapporto aveva con Maradona? «Ci siamo divertiti molto insieme e lui stravedeva per me».
Davvero? «Anche quando sono andato via dal Napoli mi ha chiamato tante di quelle volte per farmi tornare».
E lei? «Gli rispondevo sempre allo stesso modo: Diego, fino a quando ci sei tu, io quando gioco?. Io ero giovane e volevo giocare. Fare la riserva di Maradona non è da poco, ma io avevo troppa voglia di giocare. Venivo da una stagione al Pisa nella quale avevo fatto 29 partite in serie A».
Ricorda il suo primo incontro con Maradona? «Fu a Lutrone, dopo il nostro ritiro a Madonna di Campiglio. Lui ci raggiunse in ritardo perché veniva dal Mondiale dell’86 dove era stato trascinatore con l’Argentina. Era la prima volta che lo vedevo negli allenamenti e solo allora cominciai a capire quanto fosse forte».
Eppure lei tecnicamente era considerato un talento. «Infatti ero solito sfidare tutti nell’uno contro uno. Chiunque arrivava doveva passare da me perché sapevo di essere il più bravo, ma con Diego non c’è mai stata partita: lui era troppo forte. Un qualcosa che non si può descrivere. Ma la cosa più bella per me era che alla fine di ogni partita o di ogni allenamento lui mi faceva sempre i complimenti».
E allora non è un caso che quando non giocava lui, la maglia numero 10 del Napoli fosse affidata alle spalle di Ciro Muro. «Era una sensazione molto gratificante per me perché non è da tutti poter indossare la maglia che solitamente era di Diego, tanto più per me che sono napoletano e da sempre tifoso del Napoli, ma allo stesso tempo era anche un po’ frustante».
Perché? «Nella mia testa pensavo: Quando è che si fa male?. La risposta era mai, anche perché io speravo che non si infortunasse mai, visto che con lui in campo vincevamo sempre. E infatti su quello scudetto ci sono impressi a fuoco il suo nome e il suo marchio».
Però avete anche giocato insieme. «Ci chiamavano Murodona. In Coppa Italia ho disputato 15 partite realizzando 4 gol. Oltre a quello con il Vicenza che però hanno assegnato a Giordano».
Cosa vuol dire per un napoletano come lei, giocare e soprattutto vincere con la maglia del Napoli?
«Una sensazione indescrivibile. A 16 anni già ero in prima squadra e in quella squadra giocava un mostro sacro come Kroll. L’esordio l’ho fatto nell’83, ma erano già due anni che facevo parte stabilmente del gruppo della prima squadra. L’allenatore di quella squadra era Giacomini che mi portò in panchina in Coppa Uefa contro la Dinamo Tiblisi. Mi voleva far debuttare, avevo 16 anni. Ero uno di quei ragazzi nei quali il Napoli aveva intravisto del talento».
A proposito di ragazzi, lei da allenatore nel settore giovanile del Napoli ne ha lanciati tanti. «Sono stati 4 anni bellissimi. Mi sono tolto tante soddisfazioni: da quando è iniziata l’era De Laurentiis sono uno dei due unici allenatore ad aver portato una squadre alla finale per lo scudetto. Per non parlare dei ragazzi che ho lanciato anche in Primavera in prima squadra».
Con qualcuno di loro è ancora in contatto? «Armando Izzo ora è al Torino, mentre Armando Anastasio è passato da poco al Monza in serie C. Ricordo che qualcuno li voleva mandare via dal settore giovanile ma io li ho voluti tenere. Vedevo in loro qualcosa, mi divertivo con loro».
Oggi cosa è cambiato rispetto a quando lei era un ragazzo del settore giovanile del Napoli? «Innanzitutto la logistica. Quando il Napoli mi ha preso nel settore giovanile mi ha subito portato a vivere al centro Paradiso. Avevamo grandi allenatori che si facevano rispettare nel settore giovanile. Oggi mi sembra che la Primavera sia una cosa a parte rispetto alla prima squadra. Allo stesso tempo, però, mi auguro che le cose possano tornare come una volta perché in Campania ci sono tanti talenti da scoprire. All’epoca mia erano tanti i ragazzi che esordivano in serie A dopo aver fatto tutta la trafila ne settore giovanile».
E lei oggi cosa fa? «Dopo aver allenato un po’ in serie D ora sono fermo e in attesa di una chiamata giusta sto curando la tecnica dei ragazzi di alcune scuole calcio: l’Agorà di Frignano, lo Sporting Mugnano e lo Sporting Caserta».
E il calcio giocato? «Non l’ho mai lasciato. Gioco ancora in Intersociale con la maglia della Stella Rossa: siamo primi in classifica»

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Il Mattino

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