Ancelotti ha manovrato i fili della “rivoluzione” e Milik, in cinque mesi, ha cambiato pelle. Metamorfosi tattica e mentale. Mette insieme estro, potenza, visione di gioco, senso della posizione. Il tutto esaltato dalla tecnica personale. Il tutto può essere rivisto ed ammirato durante l’azione che ha portato alla traversa del 12′ di Napoli-Lazio. È una delle azioni che dimostrano l’intesa raggiunta soprattutto con il compagno di reparto, Mertens. Come in tutte le rivoluzioni che si rispettino c’è una data che fa da spartiacque. Dal match contro l’Atalanta del 3 dicembre, Milik ha invertito l’inerzia della sua stagione. Dalla gara di Bergamo ha disputato 8 delle nove gare in tutte le competizioni, con 552′ e 8 reti segnate, con l’altissima media di un gol ogni 69 giri di lancetta. Nella prima gara dell’anno, quella contro i biancocelesti dell’Olimpico del 18 agosto scorso, nel 4-3-3 di sarriana memoria, Milik va in gol, è determinante, ma il suo apporto fu ben diverso rispetto all’Arek 2.0 visto all’opera domenica al San Paolo. In questa gara 7 tiri: tre verso lo specchio oltre ai due legni che fanno salire a 5 il novero delle conclusioni concretamente pericolose create dal polacco. Solo tre, in quel 18 agosto, furono i palloni toccati in area di rigore: 7, invece, quelli giocati al San Paolo. Resta da aggiungere il dato degli interventi difensivi: zero a Roma, tre a Napoli.
Il Mattino