Cannavaro: “Preferisco l’ Insigne sulla fascia; vinco in Cina e torno”

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Fabio Cannavaro, un napoletano con le mani sulla Coppa. Non una qualsiasi, no. Quella del mondo. E’ già il momento di andar via, portandosi ancora una volta, Napoli nel cuore. La sua avventura in Cina sta per ripartire e i giorni trascorsi a ammirare il Vesuvio e il Golfo sono già finiti. «Ho visto quello striscione alla stazione che diceva benvenuti a tutti gli emigranti. Ho sorriso. Mi sento un emigrante a cui manca da morire la propria città anche se è una città che lo fa arrabbiare». 
Cannavaro, com’è la serie A vista dalla Cina? «Un campionato che ti sorprende. Perché sembrava davvero che il Napoli e l’Inter potessero bloccare il carrarmato Juventus. E invece, sembra davvero complicato costringere i bianconeri a fermarsi. Eppure è un calcio competitivo, basta vedere di quanta gloria si è ricoperto in Champions nonostante l’uscita di scena delle squadre di Ancelotti e Spalletti».
Questo dominio Juve è demerito delle rivali? «Macché. Hanno il merito di capire i momenti: hanno preso Cristiano sapendo che c’era bisogno di una nuova iniezione di entusiasmo per proseguire questo cammino da invincibili. Per fermare adesso la Juve, il Napoli deve prendere solo Messi…».
Nel 2019 il Napoli, dunque, non può vincere lo scudetto? «Può vincerlo se la Juve lo regala. Magari succede qualcosa che adesso si fa fatica a immaginare e gli azzurri devono essere pronti ad approfittarne».
Le due squadre simbolo del 2018? «Il Napoli di Sarri per gioco e divertimento; il Real Madrid di Zidane per concretezza e determinazione». 
Il calcio italiano che momento vive? «Buono, anche se ci sono allenatori che mi irritano. In tanti si ostinano a iniziare il gioco con il portiere, anche quelli che guidano le piccole, con poca qualità in campo. E così vedi che prendono gol grossolani e situazioni irritanti in cui nel corso di una partita il portiere tocca più palloni di un attaccante».
Detto da un difensore, poi… «Mi piace il calcio propositivo, ma non a ogni costo. Mica voglio la palla lunga e il contropiede ma le piccole devono fare le piccole. Come era ai miei tempi». 
Giusto dare il Pallone d’Oro a Modric? «No. Quando c’è un calciatore che tutto da solo fa vincere la Champions a una squadra, deve vincerlo lui. Toccava a Cristiano: ha la fame del vero campione. È questo che fa la differenza».
Nel 2019 la Juve vince la Champions e il Napoli l’Europa League. Che ne pensa? «Non male come accoppiata. E peraltro possibile. Io sono stato l’ultimo a vincere quella che nel 99 era ancora la Coppa Uefa. Ero al Parma ed era il tempo in cui noi dominavamo la Coppa Uefa come adesso lo fanno le spagnole. Non so perché nel tempo le italiane abbiano snobbato questa competizione, certo è faticosa. Ma vincerla dà una grande gioia e il Napoli ha tutti i mezzi per poterla conquistare». 
Gravina, Mancini, Chiellini. L’Italia è in buone mani? «Gravina è persona seria, voluto da tutti e sta cercando il difficile compito di riportare entusiasmo in Federazione. Mancini e Chiellini sono due persone che possono riportare in alto l’Italia. Non aver visto la nostra Nazionale al mondiale in Russia è una ferita che ancora brucia».
Un consiglio a Insigne per l’anno nuovo? «La reazione di Milano è stata un errore, davanti a certe provocazioni non si può perdere la testa come ha fatto lui. Con Ancelotti mi pare abbia più equilibrio, ma a parte i gol iniziali, il miglior Lorenzo mi è parso quello sulla fascia. Ho l’impressione che giocare seconda punta lo penalizzi». 
Arriviamo ai fatti di San Siro. «Una pagina nera. La gara andava interrotta senza se e senza ma. Ancelotti ha perfettamente ragione. Ci si ferma e arrivederci».
Lei quanti ne ha presi di insulti razzisti? «Forse persino più io che il mio amico Thuram. Ma, sbagliando probabilmente, li ho sempre considerati degli sfottò, un modo della tifoseria avversaria per dimostrare il timore nei tuoi confronti. Però è chiaro che chiamare terrone un calciatore o fare buu a uno di colore è razzismo punto e basta. E non va bene».
Cosa fare, allora? «Gli stadi sono terra di nessuno. Si pensa che prima, durante e dopo una partita quello che si fa resta impunito. Non è così. Ecco, si parta da qui».
Le sarebbe piaciuto trovare una arbitro che fermasse una partita al primo terrone nei suoi confronti?
«Oggi dico sì. Anche se per me era uno stimolo a dare ancora di più. Quante volte con Thuram abbiamo provato a sdrammatizzare. Poi io venivo insultato mica solo al Nord: a Lecce e Reggio Calabria erano spietati contro di me. Io la prendevo a ridere, ma oggi è diverso. Non c’è nulla di ridere perché poi fuori ci scappa il morto. A Parma, una volta, sentivo che mi cantavano Cannavaro terrun, guardo giù ed era un ragazzo di colore a farlo. Ma come tu mi chiami così? e scoppiammo a ridere». 
La Var in Cina come è andata? «Uno strumento che va utilizzato bene, ma deve avere regole specifiche. Ma quello che occorre è rendere pubblica la comunicazione tra arbitri all’interno dello stadio, così come nel rugby e football americano».
Cosa le manca di più di Napoli? «Quando torno ritrovo l’aria di festa che si respirava quando ero bambino. Ma poi mi vengono i brividi a vedere il Parco Virgiliano senza alberi, tutti quei tronchi, quel senso di abbandono che regna in tante strade e tutti quei ragazzi in giro senza scooter». 
Al Collana cosa ha deciso di fare? «Esco di scena, sono stanco e non mi va di essere strumentalizzato in questa vicenda, quindi cedo il mio 5% a Paolo Pagliara che me l’ha chiesto, lui vuole continuare perché il Collana resta un bel progetto ma i tempi sono lunghi. Ciro Ferrara è uscito da poco ed io per Napoli ho in mente altro con dei tempi più rapidi».
Il suo 2019? «Voglio vincere al Guangzhou Evergrande. Abbiamo disputato un grande girone di ritorno, stracciando tanti record e ricominciamo da qui. Poi dopo questa esperienza cinese torno in Italia. È arrivato il momento».

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Il Mattino

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