Bianchi: “Io chiamato terrone e napoletano al nord, ed al sud…”

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Un fiume in piena, Ottavio Bianchi lombardo di quelli tosti: 75 anni compiuti il 6 ottobre, memoria di elefante, cuore sempre in tumulto, saggio e pratico come sempre. Ecco le sue parole su Il Mattino

 Cosa non va negli stadi?
«Tutto, mica solo i cori di quei maleducati che vanno in curva o in tribuna dove pure ci sono personaggi che non dovrebbero mai mettere piede. Non mi piace neppure quel modo di festeggiare esagerato dopo un gol o una vittoria. Anche i tesserati non possono uscire dalle righe». 
Lei è di Brescia, vive a Bergamo. C’è razzismo verso i napoletani?
«Io ho allenato a Roma e a Napoli e ho fatto il giro d’Italia con il mio mestiere: a seconda dei casi, mi davano del meridionale e del terrone quando andavo al Nord, del leghista e polentone se ero al Sud. Gli insulti, personalmente, li ho presi dappertutto: è un male comune al nostro Paese. Una cosa triste, insopportabile, a cui nessuno ha voluto mettere un freno».
Lei dopo un’amichevole a Brescia reagì male, però?
«Persi la pazienza, mi vergognai e mi arrabbiai. Era l’agosto del 1987 e una delle prime uscite amichevoli con lo scudetto sul petto fu proprio al Rigamonti per far un piacere a un mio ex allenatore che faceva il dirigente: non solo ci menarono in campo dal primo secondo ma dagli spalti ce ne dissero di tutti i colori, senza tregua. Contro tutto e tutti. Fui chiaro: io qui non ci torno più. E infatti in amichevole non sono mai tornato perché io sono elefante e non dimentico. Mi spiace, perché il Brescia era la squadra dove sono cresciuto, ma quella volta, come tante altre volte, non sono riuscito a tenere a freno la mia lingua».

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