CdS Campania “Napule è troppi colori!”. Ancelotti 5 gare 5 formazioni
Tanto si sa, il leader è calmo: e mentre intorno gira vorticosamente il mondo, c’è sempre modo per starsene piantati dentro al campo ed osservarlo da ogni angolazione. Il leader (peraltro) è lui, e ci mancherebbe: perché con tutto quello che ha vinto, con tutto quello che ha visto, con gli uomini che ha conosciuto – statisti, oligarchi, politici, potenti, ricchi e «pazzi» – con quell’universo che ha scrutato da dentro, ne ha acquisite di conoscenze e ne ha sviluppato di autorevolezza. E allora, quando il gioco si fa duro, si sa ormai bene, tocca ai leader mettersi a giocare, ognuno per quel che può, per quel che deve: e si può anche star lì a far niente, basta che funzioni il cervello. Cinque partite e cinque Napoli, uno simile all’altro per arrivarne ad uno diverso ma senza la pretesa di cancellare il passato: «Perché a me interessa una squadra che abbia varie identità, non una sola, e comunque, sia chiaro, io non intendo buttare via il passato: quello è un patrimonio». Carlo Ancelotti ha attraversato fiamme brucianti per davvero, mica quelle virtuali di queste eterno dualismo ambientale tra ciò ch’è stata la Grande Bellezza e quel che verrà dopo: cinque partite e altrettante idee, ognuna eguale eppure differente dall’altra. «Perché alla fine ci sono dettagli che modificano il sistema». E mentre ci si perde tra i numeri e le declinazioni tattiche, la grammatica di Ancelotti prevede altro: dare al Napoli una sua struttura anche sintattica, per consentirgli di esprimersi compiutamente, attraverso un uso ampio d’un dizionario in cui ci sia tutto, tranne la rivoluzione. «Non sono venuto qua per distruggere ciò ch’è stato». Sotto al sopracciglio, e anche sopra, c’è uno sguardo nel futuro e qualche altro segnale è emerso pure nell’inferno di Belgrado, il primo tempo di sana autorevolezza, nelle pieghe del 4-4-1-1, Insigne alle spalle di Milik, Zielinski largo a sinistra ma libero di andare tra le linee in fase di possesso pure per consentire a Mario Rui di fungere da disturbatore seriale, l’ampiezza per Callejon e poi la curiosità di provare a impostare senza un regista di fatto o di formazione in corso.
Fonte: CdS