Formisano: «Il primo giorno su Amazon venduti 1.200 pezzi»

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Alessandro Formisano ai microfoni de Il Napolista

Factory della Comunicazione

Dodici anni in cui il brand Napoli è cresciuto, ha ampliato il proprio spettro di clienti. E lo ha fatto curando sia la tradizione – ad esempio con la nascita del primo Museo dedicato al club – sia l’innovazione con la creazione di prodotti e momenti originali: dal calendario del Napoli, giunto all’undicesima edizione, alla presentazione della squadra su una nave da crociera, alle magliette camouflage, denim (cioè jeans) fino alla più recente che ha riscosso successo sia a livello mediatico sia commerciale.

«Con una differenza sostanziale, le altre erano seconde maglie, la Kombat 2019 è una prima maglia che abbiamo realizzato nel rispetto dei tifosi e dei colori tradizionali del Napoli, però con un forte elemento di innovazione e di riconoscibilità. E i dati di vendita ci stanno premiando. L’idea è nata un anno e mezzo fa, l’input è arrivato dal presidente che desiderava una forma animalier sulla maglia. Diciamo che Kappa è stata brava a raccogliere la provocazione. Il merito che riconosco al club è stato il coraggio di osare con la maglia azzurra, non lo aveva mai fatto nessuno. Peraltro in un mercato, quello calcistico, che è fortemente tradizionalista oltre che autoreferenziale. Del resto è da quando sono entrato in questo mondo che mi scontro con la frase “non si può fare, noi abbiamo fatto sempre così”. E invece il Napoli sta dimostrando che si può innovare nel calcio. Un tratto fondamentale del nostro lavoro è far parlare di sé. Innovare e comunicare. E noi ci siamo riusciti, con la Kombat ma anche in precedenza».

Formisano spiega la peculiarità del calcio, «un sistema in cui non c’è concorrenza. Non è che se la Juventus un anno produce una maglia brutta, i suoi tifosi acquistano la maglietta dell’Inter. È uno strano settore, l’unico in cui i direttori marketing non devono preoccuparsi della concorrenza. L’obiettivo che mi sono autoimposto sin dal primo giorno è di trasferire nel calcio il concetto cardine del lusso, ossia la creazione di valore. Un prodotto di lusso è un prodotto che ha un alto contenuto di qualità, un alto valore aggiunto di manodopera, di materiale. Questi valori devono essere raccontati in maniera efficace affinché il mercato  apprezzi la differenza. Penso che se realizzi un prodotto di qualità, curato, accattivante e secondo i tuoi gusti appetibile, il prodotto funziona. Con le maglie camouflage e denim mi è capitato persino di imbattermi in tifosi di altre squadre che hanno confessato di averle acquistate anche se di un club avversario. Ovviamente non è un numero rappresentativo di persone, però ci sono state».

Il video della presentazione della Kombnat è stato realizzato da un’agenzia italiana che lavora con Kappa, ovviamente in stretta collaborazione con il club che ne ha seguito passo passo la lavorazione. «Abbiamo voluto proseguire nel solco dell’innovazione, anche per quel che riguarda la presentazione del prodotto. Abbiamo deciso di puntare su un pubblico più ampio rispetto a quello del campo d’allenamento di Dimaro. Anche lo scorso anno abbiamo realizzato un videoclip ma stavolta abbiamo puntato su qualcosa che potesse essere d’impatto e virale: la riscoperta della graphic novel.

«È un prodotto che viene molto utilizzato in Francia, paese che per me è un riferimento, e che funziona sia con gli adulti sia con la cosiddetta generazione Z che poi è quella che ha la maggiore propensione all’acquisto pur non avendo direttamente capacità di spesa. Parliamo della fascia d’età tra i 5 e 16 anni. Se un prodotto fa breccia tra di loro, è molto probabile che riusciranno a convincere i genitori. Il fumetto è un linguaggio friendly. La clip ha un forte impatto emotivo ma ha un messaggio semplice: se voglio scendere a pieno titolo nella giungla della quotidianità, devo avere caratteristiche di un animale come la pantera che è l’esemplare più nobile della giungla. Quella maglia mi trasferisce la capacità di affrontare la sfida. Trasmette un messaggio a determinate persone che vogliono far parte di quella comunità. In questo caso, o sarebbe meglio dire anche in questo caso, abbiamo aperto un mercato».     

“Creare valore” e “aprire il mercato” sono concetti chiave di Formisano che da quattro anni insegna Marketing e comunicazione dello sport al Suor Orsola Benincasa. È uno dei suoi principi guida. «Ricordo un’intervista concessa da Gianni Agnelli a Enzo Biagi. Raccontava che quando il nonno cominciò a produrre automobili, c’erano 67 case produttrici in Italia alcuni semplici carrozzieri e motoristi. Ma il nonno, così come John Ford, si dedicò principalmente alla creazione di un mercato, prima ancora che alla produzione delle auto. Queste parole indicano una direzione che proviamo a seguire. Quest’anno, ad esempio, abbiamo dedicato una particolare attenzione stilistica alle tute per la Champions. Potrebbero essere tranquillamente prodotti di moda, da street wear».     

Un tempo, ricorda Formisano, le seconde e terze maglie dei club «rispondevano unicamente a esigenze calcistiche, venivano prodotte per non confondersi con la divisa avversaria. La riconoscibilità non era presa in considerazione. Noi abbiamo voluto allargare il mercato anche nel calcio, che non vuol dire bestemmiare, anche se i cosiddetti puristi storcono il naso. Bisogna accettare che anche il calcio è oggetto di un’evoluzione tecnologica, l’evoluzione non la puoi fermare. Prima le magliette con la pioggia arrivavano a pesare anche un chilo, tanto per dirne una».

Tornando alla Kombat, gli chiediamo del successo numerico dell’iniziativa. «I dati di vendita sono superiori di oltre il 50% rispetto a quelli dello stesso periodo dello scorso anno. E parlo soltanto delle cifre di Dimaro e dei punti di vendita ufficiali. Poi c’è Amazon la straordinaria novità che abbiamo messo a segno con un’intuizione di Luigi De Laurentiis. Un passaggio importante, che è anche il premio a un lavoro di oltre dieci anni da parte di un gruppo di professionisti che ha creato un bagaglio di conoscenze che consentisse questo step. Solo il primo giorno su Amazon abbiamo venduto 1.200 pezzi del Napoli».  

Formisano ha affrontato l’universo calcio con una mentalità completamente estranea. «Chi mi conosce, lo sa; cito spesso una frase di Rochefaucald: “un uomo che nutre una passione è più convincente del più eloquente che ne sia privo”. Pochi sanno che l’industria sportiva crea un indotto che in Italia vale il 4% del Pil. Una squadra di calcio è ormai a tutti gli effetti un produttore di contenuti. Con l’obiettivo, appunto, di creare valore e aprire il mercato». 

Aprire il mercato vuol dire anche essere l’unica squadra di Serie A che da undici anni realizza e confeziona un prodotto come il calendario della squadra. «Nel 2006 ci contattarono Gazzetta e Corriere dello Sport. Volevano produrre il calendario del Napoli, con ciascun mese associato a una foto di archivio. Risposi che in questo modo non c’era alcuna creazione di valore per il tifoso, ovviamente mi risposero che si era sempre fatto così. Non mi arresi. Anche perché c’è un solo prodotto che io colleziono ed è il calendario Pirelli che è lo stato dell’arte della fotografia. Li ho tutti, tranne il primo numero che ora costa quanto un’automobile. È praticamente inacquistabile, almeno per me».

Formisano parlò della sua idea a De Laurentiis e poi studiò come realizzarla. «Vennero fuori costi di produzione importanti. Mi inventai la formula di uno sponsor per ciascun mese dell’anno. Siamo giunti all’undicesima edizione. È un prodotto che nessun altro ha, ogni anno finisce nelle case di cinquantamila tifosi del Napoli. E che, particolare che non va mai sottovalutato, consente che si parli di noi. Non è importante quanti ricavi produca, ma ti consente di differenziarti. Il calendario ci ha dato la possibilità di sfruttare a pieno i diritti d’immagine dei calciatori e anche di diventare un interlocutore affidabile dei nostri sponsor, elemento che spesso nel marketing viene sottovalutato.Alcune grandi aziende hanno interesse a ingaggiare il pubblico più che a far conoscere il proprio marchio. Un calendario lo abbiamo realizzato al Mann, grazie al direttore Paolo Giulierini. Per noi è un vanto, la stessa location venne negata al Comitato olimpico per gli atleti in gara alle Olimpiadi di Rio de Janeiro».

L’ultimo, quello 2018, è nato da un’idea partorita a Madrid in occasione della trasferta di Champions. «Una guida ci portò in giro per la città e i monumenti più importanti portavano tutti la firma di Carlo III di Borbone che precedentemente aveva regnato a Napoli. Abbiamo così voluto rendere omaggio alla casa dei Borbone con un calendario che mettesse in evidenza i luoghi simbolo del loro passaggio a Napoli».   

Dal calendario al Museo, restando sempre al Mann. «Il museo del Napoli dovrebbe avere la sua location nello stadio. Senza entrare nel dettaglio del rapporto con l’amministrazione comunale, al San Paolo non è stato possibile. Per nostra fortuna, Giulierini è un direttore illuminato, con idee all’avanguardia e anche con un’autonomia rispetto alle sovrintendenze che non hanno potere di veto sulle sue decisioni. Abbiamo costruito il percorso con personalità che da sempre seguono e studiano il Napoli (tra gli altri, ricordiamo Vittorio Dini, Oscar Nicolaus, Guido Trombetti, Francesco Pinto, ndr). Ci sono stati anche momenti di tensione, ad esempio su come presentare Higuain. Ovviamente non poteva essere un’opera omnia. È stata una mostra temporanea, limited edition, come avviene con i prodotti di lusso. È durata poco meno di tre mesi. Ci sono state giornate in cui abbiamo incassato più del resto del Museo».

Un’iniziativa il cui impatto è stato studiato grazie a una ricerca condotta dal dipartimento di Economia delle imprese della Federico II guidato dalla Direttrice professoressa Adele Caldarelli, con la collaborazione di tre professori ordinari: Roberto Vona, Sergio Sciarelli e Luigi Cantone. «Abbiamo voluto studiare l’impatto che la mostra ha avuto sul territorio. Abbiamo proposto un sondaggio di circa 28 domande, che è stato compilato da circa seimila persone: un campione molto rappresentativo. Ne è emerso che il 50% dei visitatori non era mai stato al Museo Archeologico Nazionale; che in media i visitatori hanno impiegato trenta minuti per arrivare al Mann e poi si sono trattenuti in zona e quindi hanno fatto crescere i ricavi sul territorio; gli intervistati hanno dato un voto alto al marchio Calcio Napoli e dichiarato che dopo aver visitato il museo avevano una maggiore propensione all’acquisto e alla frequentazione dello stadio. L’obiettivo è tornare al Mann. Ora dobbiamo solo capire se possiamo avere uno spazio permanente o creare un percorso temporaneo di tipo diverso, più lungo».

Del futuro preferisce non parlare: «C’è sempre molto da fare, soprattutto per quel che riguarda la fidelizzazione dei tifosi che non sono in Italia, il mondo dei fan club. La città e i tifosi danno stimoli importanti. Preferisco non sbilanciarmi. Diciamo che il cassetto delle idee è abbastanza pieno, il cassetto del “riuscire a fare” è sempre incasinato».

Fonte: Il Napolista

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