F. Capello: “Ancelotti al Napoli? Ecco perchè ha accettato”
F. Capello: “Ancelotti al Napoli? Ecco perchè ha accettato”
Il Guru si è appena rifugiato a Pantelleria («a Mosca sono rimasto un solo giorno, mercoledì: dovevo chiudere i conti» correnti, nda). Ieri ha compiuto 72 anni, la leggerezza è una conquista recente e forse anche effetto dell’isola più isola che c’è. Del calcio il Guru Capello ha sempre avuto un’idea forte e semplice, quando non gradisce lo dice: ha naturalmente le carte in regola per discutere e fare polemica, mai frequentato il disagio. Il Guru dosa con controllo le verità sue e le fantasie del prossimo.
Due giorni fa, il 17… «Due giorni fa era l’anniversario dello scudetto della Roma, e così ti ho già risposto, lo ricordavo bene, non me l’hanno ricordato. Data speciale, per me e per i tifosi della Roma. Quello scudetto nacque da una sconfitta».
A Milano. «Proprio a San Siro. Quel giorno, nello spogliatoio, dissi alla squadra che avevo capito che il campionato l’avremmo vinto noi. Avevamo la testa giusta e la personalità che inseguivo da settimane».
Il tuo legame con la Roma sembrava indissolubile, in quegli anni, quasi esclusivo, eppure tempo dopo passasti alla Juventus e ancora oggi qualcuno ti considera un traditore. Quel «mai alla Juve!» sconfessato nel 2004. «Lo dissi, lo dissi, ma uno o due anni prima. In seguito le cose cambiarono. Cinque anni ho resistito a Roma: l’ultima stagione fu davvero complicata, mi resi conto che non avevo più nulla da dare e da dire, tornavo a casa scontento e quando ti porti addosso il peso del lavoro e lo vivi con poca gioia devi avere la forza di staccare».
Ti venne incontro… Mi anticipa. «Un tuo collega».
Tosatti. «Mi telefonò e mi chiese se la Juve avrebbe potuto interessarmi, gli risposi parliamone».
Decidesti in fretta. «In fretta. Esiste una scadenza naturale, per noi allenatori, i tre anni. Già al quarto tutto risulta più difficile, è questione di linguaggio; quando prevale la routine o cambi la squadra o sostituisci l’allenatore. Roma è stata tante gioie ma anche un rammarico».
Le gioie, innanzitutto. «Lo spirito di squadra dell’anno dello scudetto, il contributo in tal senso di Totti, Emerson, Cafu, Aldair. A cambiarci la vita fu però Batistuta. Importante anche Montella, avevamo una qualità elevata».
Il rimpianto ora. «La partita di Venezia l’anno dopo, vi perdemmo lo scudetto. La preparai male, ma ci furono un paio di episodi sfortunati, la scivolata di Aldair sull’1-0 e altro ancora, e il Venezia era già retrocesso. Quell’incidente, chiamiamolo così, fa il paio nel libro nero con la finale di Champions col Marsiglia, ancora oggi mi chiedo perché alla Juve hanno tolto due scudetti per lo scandalo mentre l’OM conserva la coppa nonostante sia stato provato che l’arbitro era corrotto».
Quando hai deciso di chiudere? «In Cina, ho deciso in Cina. Avevo fatto una scelta precisa, volevo salvare una squadra non particolarmente attrezzata e ci sono riuscito, ma dopo 4 partite della nuova stagione hanno prevalso la nostalgia di casa, la voglia di stare con mia moglie, di recuperare i miei spazi, le mie abitudini, la libertà. Di fermarmi».
Tu e Laura insieme da sempre. «Ferrara, la Spal. Io e Laura prendevamo lo stesso autobus, lei andava alle magistrali, io studiavo da geometra. La passione per i viaggi e per le immersioni non solo subacquee, anche culturali, la condivisione ha saldato indissolubilmente la coppia, lei è stata fondamentale, abbiamo avuto la capacità di tenere il pallone fuori dalla porta di casa. Ho vissuto dentro un mondo più aperto e vasto di quello del calcio, mi sono sempre interessato a arte, politica, cronaca, non mi sono mai accontentato del campo che, pure, mi ha dato la possibilità di soddisfare tutte le mie, le nostre curiosità».
Sorpreso dalle dimissioni di Zidane? «No. Florentino è un presidente ingombrante, uno che vuole entrare nel lavoro del tecnico e Zidane, come me, non è facile al compromesso. Florentino voleva le tre punte in campo e cambiare il portiere: già a febbraio, quando si è ritrovato a 12 punti dal Barcellona in campionato, Zidane ha cominciato a pensare all’addio. Sapeva che se non fosse arrivato fino in fondo in Champions il presidente l’avrebbe mandato via. Si è preso una grossa soddisfazione. Ma poi, come fai a mettere in discussione uno che ti ha portato due Champions di fila, tre con l’ultima?»
Anche Berlusconi amava dare consigli all’allenatore, è storia. «A me non li ha mai dati. Solo una volta mi chiese perché togliessi Savicevic. Gli risposi che Dejan non correva e che non mi piaceva giocare in dieci contro undici. Savicevic si è messo a correre ed è diventato il Genio».
Tu, Mourinho, Zidane, più gestori di campioni e situazioni che allenatori: solo un luogo comune? Ricordo un giudizio di Valdano su di te: «Tutto sta a vedere se si vuole il bel calcio o solo vincere: in quest’ultimo caso Capello è un’opzione molto buona. Ma è altrettanto chiara la sua mancanza di idee».
«I filosofi mi fanno ridere, contano i numeri, il resto sono chiacchiere».
Dopo i quattro scudetti in cinque anni col Milan non hai sbagliato una mossa: hai sempre saputo e potuto scegliere. «Sono stato scelto e ho accettato».
Quante volte sei stato vicino all’Inter?
«Quattro o cinque. Ma non abbiamo mai chiuso. Forse perché…»
Perché? «Lasciamo perdere, andiamo avanti».
Non ci penso proprio. «Diciamo che una volta erano loro a frenare all’ultimo e la volta dopo frenavo io».
Hai anche rifiutato la panchina della Nazionale.
«Una sola volta, avevo in testa altre cose, altre curiosità», e accompagna la risposta con un sorriso.
Mi spieghi oggi perché alla festa dei cento anni del Milan, dicembre ’99, ti presentasti con la divisa della Roma?
«Se pensi che abbia voluto fare il provocatore, ti sbagli. Forse arrivavo da una manifestazione ufficiale della Roma, non ricordo, insomma ero in giro con quell’abito. Non sono un provocatore, sono un tipo diretto, ho sempre e semplicemente dato voce alle mie idee».
Tutti noi pensammo che non avessi mandato giù la fine del rapporto col Milan.
«Voi giornalisti pensate sempre male».
A Radio anch’io mi sei sembrato troppo severo sul Mondiale. Hai detto, testualmente, che «si è visto un calcio lento, la condizione fisica generale non è ottimale. Con il possesso ricercato continuamente la palla torna spesso all’indietro. Non si va verso la porta avversaria e quindi il possesso palla diventa fuffa. E’ un modo di giocare rinunciatario. Si hanno poche idee, con i centrocampisti che danno palla all’indietro ogni volta che la recuperano. A deludermi più di tutti è stato il Brasile».
E Messi? «Calma, è solo la prima. Messi arriva, e sono balle quelle che lo vogliono privo di personalità. Ho detto quello che ho visto: troppo possesso palla con i giocatori sbagliati, non tutti hanno i palleggiatori del Barcellona o i giocatori di Guardiola. Le cose migliori, per ora, si vedono con le ripartenze derivate da una palla inattiva mal sfruttata dall’avversario. Livello tecnico basso».
Qual è il calcio che ami commentare? «Il City di Guardiola, in campionato, meno in Champions. E il Liverpool, Klopp mi piace molto».
Quello di Sarri come lo consideri? «Divertente, non mi è piaciuto il suo disimpegno nelle coppe, non l’ho proprio capito. Ho trovato molto interessante il lavoro che ha fatto sulla difesa e le tre punte basse, Mertens centravanti una bella invenzione».
La scelta di Ancelotti l’hai capita? «Carlo ha fatto un ragionamento molto semplice: voleva una squadra presente in Champions e le opportunità non erano molte, il Napoli inoltre è una buona squadra».
Allegri ha davvero una marcia in più? «Sente sulla pelle la partita, la legge bene e sa cambiare le cose in corsa. Credo mi somigli più di altri. E poi fa i numeri. Anche Di Francesco è bravo, ma se posso permettermi gli suggerisco di non fermarsi a una sola idea tattica».
Il Guru, intervistato il Corriere dello Sport, ha ripreso in mano la propria vita e i propri sentimenti confermando che lo si può fare anche a 72 anni, dopo aver molto vissuto, visto e vinto.