Il colera. Una sciagura che cominciò ad abbattersi su Napoli sul finire dell’ agosto del ’73. Il 23 settembre al San Paolo ci fu l’amichevole della solidarietà tra Napoli e Bari, le due città dell’epidemia. Dovettero scontrarsi tra di loro, perché nessuno voleva avere a che farci con napoletani e baresi. I “colerosi” intonati oggi nascono in quei giorni, i terremotati che con l’acqua non si son mai lavati da quello che avvenne il 23 novembre del 1980.
Poi c’è il Vesuvio con la sua lava che certo non serve per sciacquare i panni nell’Arno, coro che adorano ovunque, da Firenze a Bologna, da Roma a Torino. Dice qualcuno: che volete che sia, è solo sfottò. Eppure di colera moriva la gente in quell’estate del 1973. La prima gara ufficiale di quella estate doveva essere un Genoa-Napoli di Coppa Italia. La partita che nessuno voleva per paura del contagio. «Non so di cosa avessero paura, però davvero temevano che fossimo noi quelli che potevano portare in giro il virus», racconta ancora perplesso Giuseppe Bruscolotti. La Lega disse che si doveva giocare, ma la politica si oppose: risultato, il Genoa perse a tavolino. Il club rossoblù però non condivise la voglia di isolare il Napoli e il 22 ottobre organizzò a Marassi un’amichevole per raccogliere fondi a favore dei malati di colera. «E ci regalarono anche una medaglietta col simbolo del grifone che io conservo in maniera gelosa. Fu bello vedere quel gesto mentre molti in Italia ci giravano le spalle», dice l’ex capitano.
Il Mattino