Corrado Ferlaino ha ricevuto la tessera «Gold» dopo essere entrato nella Hall of Fame dei dirigenti italiani. «Così potrò entrare liberamente negli stadi», scherza l’ingegnere che dal 2002, l’anno in cui decise di vendere il club, non mette piede al San Paolo.
Fosse stato sabato sera al Meazza per Inter-Juve si sarebbe infuriato come tutti i tifosi nerazzurri e azzurri? «Ma ormai quella partita si è giocata ed è stata persa dall’Inter. Se non si vincerà lo scudetto – perché io continuo a crederci a tre giornate dalla fine, anche se la percentuale non va oltre il 10 per cento – non sarà per il successo della Juve a Milano ma per la sconfitta del Napoli a Firenze. Mi dispiace che sia arrivata nel momento topico del campionato, una settimana dopo una delle prestazioni più belle e una delle vittorie più esaltanti, quella in casa della Juventus. Probabilmente i giocatori hanno ritenuto che fosse tutto finito dopo la rimonta della Juve al Meazza. Sarebbe stata importante la presenza del presidente al loro fianco in quelle ore perché il presidente è una sorta di papà per i calciatori, o almeno così io ho considerato il mio ruolo».
Quarant’anni fa, a proposito delle influenze della Juve, lei disse in un’intervista: «A Napoli pensano che la roulette sia truccata». Non è cambiato tanto, vero? «Alla roulette esce al 50 per cento il rosso e al 50 per cento il nero. Se esce sempre il rosso, vuol dire che la roulette è truccata. In quegli anni mi resi conto che bisognava agire in un certo modo. I campioni, certo: e infatti presi Maradona e altri giocatori. Ma serviva anche la presenza nel Palazzo. Nel consiglio federale siedevamo io e Boniperti, il presidente della Juve: davamo anche indicazioni sul rappresentante degli arbitri. E poi avevo rapporti solidi con i presidenti federali».
Si vincono così le partite politiche? «Sì, almeno così le affrontammo e le vincemmo noi. Certo, c’era Maradona ma da solo non sarebbe bastato».
Possibile che da decenni la Juve detti legge? Possibile che non si riesca a porre un argine alla sua influenza sul Palazzo e sul mondo arbitrale? «Indubbiamente fa riflettere il dato dei sei scudetti vinti di fila, perché io mi arrenderò solo all’ultimo all’idea che il Napoli quest’anno non vincerà il campionato. Non mi sorprendo perché la famiglia Agnelli è potente e influente. E poi c’è una dirigenza che opera molto sul mercato. Il Napoli di Sarri ha compiuto grandi sforzi ma evidentemente non sono bastati per colmare il distacco».
I tifosi correranno in massa domenica al San Paolo per celebrare lo scudetto dell’onestà, girano in città anche tricolori con il numero 3: ma davvero il Napoli è il vincitore morale del campionato? «Lo è per il gioco e le emozioni che ha saputo regalare, per un’immagine brillante che ha esportato all’estero: del Napoli di Sarri, dei suoi giocatori bravi anche se non eccellenti, si è parlato dovunque. L’allenatore è stato straordinario: ha plasmato un grande gruppo, si vede che la squadra ha importanti valori tecnici e umani. Giusta questa manifestazione d’affetto verso i calciatori e l’allenatore, tutti eccezionali quest’anno. E io, sinceramente, mi auguro che Sarri non vada via».
Il Mattino