G. Galli: “Tifo Napoli e Sarri. Non perdono una cosa a Maradona. Se mi invitano alla “festa sc…” vengo”

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Giovanni Galli ha vinto tutto, riuscendo a rialzarsi anche dopo l’unico tiro imparabile del destino che gli ha strappato un figlio. E così oggi, alla vigilia dei suoi primi 60 anni, lui che è stato un signor portiere e un portiere signore, vola con eleganza tra i ricordi del passato e le speranze per il futuro.

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Galli, a 60 anni che cosa desidera?

«Mi piacerebbe trasmettere la mia passione e il mio amore per un club ai giovani, per far capire l’importanza del senso di appartenenza e la storia della squadra in cui si gioca».

Lei a quale squadra è rimasto più legato?

«Alla Fiorentina, perché lì ho incominciato a 14 anni e sono andato via a 28. Poi ho fatto anche il d.s., dalla C2 fino alla promozione per tornare in A, con i Della Valle. E poi sono legato a Firenze, perché lì continuo a vivere».

A Firenze poteva anche diventare sindaco, ma fu battuto da Renzi. Ha rimpianti?

«Penso che sia meglio così. Comunque ho buoni rapporti con Renzi e ogni tanto ci sentiamo».

Quando era alla Fiorentina ha vinto il Mondiale del 1982, senza giocare: si è sentito davvero campione?

«Sì, perché ero il primo tifoso di chi giocava. I titolari non ci hanno mai fatto sentire riserve. E poi siccome Zoff cercava la condizione facendo ginnastica, nelle partitelle ero io che impegnavo Paolo Rossi. Per cui posso dire di avere contribuito a fargli ritrovare la forma».

Nel 1986, invece, era titolare ma finì male: le brucia ancora quel gol preso da Maradona?

«Non me lo sono mai perdonato. Mi consolo pensando che fra 30 anni, quando andranno a rivedere quel gol, qualcuno chiederà chi era quel bischero in porta e così rimarrò anch’io nella storia».

Poche settimane dopo sbarcò da un elicottero al raduno del Milan all’Arena: che cosa pensava in quei momenti?

«Mi chiedevo dove volevano che arrivassimo. Mi sentivo catapultato in un mondo nuovo, perché ero abituato alla gestione familiare dei Pontello a Firenze, dove andavo agli allenamenti in bicicletta. Berlusconi, però, era stato chiaro ad Arcore, dove aveva invitato i nuovi acquisti. Disse a mia moglie che le avrebbe sequestrato il marito perché dovevamo vincere tutto, dimostrandosi subito di un’altra categoria».

Qual è il suo ricordo più bello?

«Il primo scudetto vinto a Como, anche se mi è rimasto il rammarico di non aver sollevato un trofeo quel pomeriggio. Per fortuna, poi, alla sera c’è stata la festa coi tifosi a S.Siro».

Perché lasciò il Milan dopo la seconda Coppa dei Campioni?

«Quando tornammo da Tokyo, dove avevamo vinto l’Intercontinentale, Sacchi mi disse che avrebbe avuto bisogno di me nella partita successiva e invece a Bari non giocai. La cosa si ripetette, forse per i contrasti tra Sacchi e Berlusconi. E allora chiesi di andare via, perché speravo di vincere un’altra coppa dei Campioni con il Napoli».

Come si trovò con Maradona?

«Benissimo. Era un ragazzo eccezionale, ma tutto l’ambiente era stupendo. Purtroppo, però, quella squadra era a fine ciclo e vincemmo soltanto una Supercoppa contro la Juve».

Come ex, quindi, tifa Napoli per lo scudetto?

«Certo. A Napoli sono stato benissimo, mi piace il progetto di De Laurentiis che ha costruito la squadra mattoncino su mattoncino e poi sono un estimatore di Sarri, che mi aveva impressionato quando allenava la Sangiovannese, ai tempi in cui ero d.s. della Fiorentina in C2. Così, all’inizio del 2008, quando ero dirigente del Verona in Serie C, consigliai al presidente Arvedi di prendere Sarri, per impostare in anticipo il lavoro per l’anno successivo. Dopo le prime sconfitte, però, Sarri fu esonerato a mia insaputa e allora, per coerenza, diedi le dimissioni».

Che differenze ci sono tra Sarri e Sacchi?

«Tutti e due amano l’organizzazione. Sacchi è stato un rivoluzionario in un’epoca in cui non era facile prendere le contromisure. Anche Sarri studia molto, ma oggi tutti studiano tutto e quindi per lui è più difficile sorprendere gli avversari».

Adesso il Napoli è favorito per lo scudetto?

«Per l’entusiasmo e il calendario sì, ma della Juve io non mi fido mai. Questo fine settimana dirà molto, perché il Napoli deve gestire l’euforia in una partita non facile a Firenze».

Le piacerebbe andare alla festa scudetto del Napoli?

«Se mi invitano, ci vado volentieri, perché mi piacerebbe riassaporare quell’entusiasmo contagioso».

Da ex portiere rossonero, Donnarumma deve rimanere al Milan?

«Il Milan ha vinto 7 Champions senza di lui e quindi deve rimanere soltanto se è convinto al 100 per 100, come Baresi che giocò due anni in B».

Che cosa pensa delle dichiarazioni di Buffon a Madrid?

«Sono comprensibili, ma non condivisibili. Quando ero alla Fiorentina, dopo una partita contro la Juve che vinse su rigore al 90’, insultai l’arbitro e mi presi due giornate di squalifica, ma in sala stampa ero già tranquillo».

Domenica nel giorno del suo compleanno si gioca Bologna-Milan, la squadra di suo figlio Niccolò contro quella con cui lei ha vinto tutto: un segno del destino?

«Ballardini, che allora era al settore giovanile del Milan, veniva spesso a vedere Niccolò che prometteva molto. Da quel 9 febbraio 2001, in cui morì a 17 anni in motorino, sono diventato più attento ai particolari, come questo».

Come è nata l’idea di creare la Fondazione con il suo nome?

«Pochi mesi dopo la morte di Niccolò, uno dei ragazzi del Bologna che viveva con lui, Spanarello, perse l’uso delle gambe in un incidente e allora mia figlia più grande Camilla, che oggi ha 34 anni, decise di organizzare manifestazioni per raccogliere soldi destinati alle sue cure. Così è nata la Fondazione, con il sito Niccoclub.it, che ha già superato 2,5 milioni di euro raccolti, sempre investiti. E oggi siamo tutti impegnati, io, mia moglie Anna e la figlia più piccola, Carolina, che compie 26 anni un giorno dopo di me».

Quanto pensa a Niccolò?

«Ho una sua foto con una ciocca di capelli che tengo sempre in tasca, in una bustina di stoffa. E così Niccolò è con me, tutti i minuti di tutti i giorni».

Fonte: gasport

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