Il giornalista statunitense Gregg Easterbrook ha prodotto l’avvertenza come nei «bugiardini» dei medicinali: «Se torturi i numeri abbastanza a lungo, confesseranno qualsiasi cosa».
Li chiamano «big data»: il termine si riferisce a un ampio volume di dati numerici che, soprattutto in ambito economico, vengono analizzati per ricavare tendenze e risultati migliori.
I big data, da qualche tempo, hanno invaso anche il mondo dello sport, a partire dal baseball, l’esempio più famoso grazie a «Moneyball», per arrivare ormai in modo sostanzioso anche al calcio. Due terzi di campionato rappresentano un volume abbastanza corposo per cercare di produrre un’analisi abbastanza profonda del torneo: la Serie A, insomma, vista attraverso i raggi x delle statistiche. La lastra che ne esce è essenziale, però serve per capire, per esempio, per quale motivo la Juventus è prima in classifica nonostante non primeggi in quasi nessuna classifica di squadra, conferma quanto crei (e quanto sprechi) il Napoli, spiega come faccia l’Atalanta a trovarsi così in alto o la Lazio a segnare così tanto. E illustra anche perché il gioco offensivo nel nostro campionato non sia così brillante.