Calcio Femminile – Sara Gama: “Il nostro calcio è meno tattico dei maschi”

Il capitano della Juventus femminile: "Il calcio ha bisogno di noi"

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Calcio Femminile – Sara Gama: “Il nostro calcio è meno tattico dei maschi”

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il capitano delle j women e della nazionale Sara Gama in un’interessante intervista alla Gazzetta dello Sport: “il calcio ha bisogno di noi, ma adesso serve il professionismo”

Sara Gama è il capitano, un incrocio tra Chiellini (stesso ruolo e numero, e come lui una laurea, in Lingue: «Per le donne è la norma: tutte conciliano il calcio con studio e lavoro. Di solo sport non si vive») e Higuain («Ho avuto lo stesso infortunio alla mano, anch’io sono stata operata e ho giocato col tutore») per determinazione e carattere: «Mi piace chi dà l’anima in campo». La tuta nera che indossa riflette il suo modo di essere: «Da piccola ho scelto di tifare Juve per i colori: nella vita per me o è bianco o è nero, le sfumature non esistono». Prima calciatrice a dare il volto a una Barbie, unica italiana ad aver giocato una finale di Champions, ora 16 vittorie su 16 in A, mai successo prima. Ma i record non le bastano: «L’obiettivo è vincere scudetto e Coppa Italia. L’anno prossimo penseremo alla Champions: mi è rimasta qui…».

Dove nasce la sua passione per il calcio? «È innata. A casa mia preferivano i motori, io passavo le giornate in cortile con i maschi e a 7 anni uno di loro mi disse: “Sei forte, perché non vieni nella mia squadra?”. Non ho più smesso. Sono destra, ho fatto a lungo il terzino sinistro ma ora gioco centrale nella difesa a quattro».

La Mattel per l’8 marzo ha lanciato la Barbie calciatrice dedicata a lei. Si sente una pioniera del movimento? «È un onore sapere che c’è qualcuno che si ispira al mio percorso, sono contenta ma sento la responsabilità. L’obiettivo della campagna era trasmettere un pensiero sul ruolo della donna nella società, da noi c’è anche il riflesso sulla promozione del calcio femminile. Importantissimo, visto che siamo in ritardo rispetto ad altri Paesi. All’estero le donne non sono più la parte debole del calcio. La prima bambola calciatrice dà l’idea del cambiamento dei tempi. Lei però è molto meglio di me: è la sorella bella…».

Lei è consigliere federale e presidente della commissione sviluppo del calcio femminile: in Italia a che punto siamo? «In una fase di evoluzione, aiutata da società come la Juventus che entrano in questo circuito. Giocare qui significa avere le stesse strutture degli uomini. Un’emozione che non credevo di poter vivere in Italia prima della fine della carriera. È stato possibile in pochi anni grazie alle nuove norme federali sull’acquisizione del titolo sportivo e l’obbligatorietà dell’Under 12. Non in tutti i club è così, ma alla Juve siamo professioniste di fatto. Ci manca la forma, che non è poco: le tutele fanno la differenza. Per esempio non abbiamo uno stipendio ma un rimborso spese, perché siamo dilettanti. Ora bisogna adeguarsi a livello statale, è una situazione che riguarda tutte le atlete. Essendo il calcio così importante in Italia mi auguro di poter fare da apripista. Ben venga che l’anno prossimo arrivino altri club come Milan, Inter e Roma: abbiamo bisogno di alzare il livello per far bene anche fuori dall’Italia».

Nel 2015 ha giocato, e perso, una finale di Champions col Psg. Differenze? «In Francia sono partiti nel 2000 e sono arrivati al professionismo in 5-6 anni. Sono andata a Parigi per tornare con un bagaglio importante nel mio Paese. Alla Juve vivo la stessa realtà e dal punto di vista calcistico siamo avanti. Il ritardo di circa 15 anni può essere assorbito in poco tempo grazie alla nostra esperienza. Sono l’unica italiana ad aver giocato una finale di Champions, mi auguro che presto ci sia anche un’italiana che la porti a casa…».

Madre triestina, papà congolese. Si è mai scontrata col razzismo? «Mai. Ho un’anima interculturale – mia madre è originaria di Pola –, e ho vissuto il colore della pelle come un valore aggiunto, per la fisicità che mi ha dato e per l’immagine. I razzisti esistono e non solo qui, ma l’Italia non è un Paese razzista».

Buffon le ha dato consigli da capitano a capitano? «Nessun colloquio privato, ma con lui e Chiellini ci siamo incrociati spesso: sono molto interessati alla nuova realtà. Sarebbe bello se venissero a vederci a Vinovo. Io sono andata allo Stadium: emozionante, giocarci sarebbe il top».

Si faccia pubblicità: giocate meglio voi o la squadra di Allegri? «I paragoni non mi piacciono, però per invogliare a seguirci posso dire che il nostro calcio è meno tattico e fisico, ha più geometrie e c’è più spazio per il gesto tecnico. Quindi può essere molto divertente».

Lei è anche capitano della Nazionale, che non arriva al Mondiale dal 1999: è la volta buona? «La squadra è competitiva e possiamo giocarcela, ma siamo solo a metà percorso. Però non caricateci anche del peso della mancata qualificazione degli uomini: abbiamo già tanta pressione addosso».

La Redazione

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