L’intervista – Marcolin: “La Lazio ci riuscì in 10 gare e fu scudetto”
Le sue parole da capitano a capitano, da Marcolin che ha indossato la fascia azzurra ad Hamsik.
«Caro Marek, così si fa» e lui sì che può dirlo. Gli basta riavvolgere il nastro della memoria ed ecco riaffiorare la storica rimonta. Marcolin giocava nella Lazio diciotto anni fa, non proprio ieri ma tante analogie che fanno incrociare le dita.
«A dieci giornate dalla fine eravamo staccati dalla Juventus di quattro punti, loro primi e noi secondi. Vincemmo lo scudetto all’ultima giornata».
In comune con il duello di oggi ci sono il divario in classifica, le restanti gare da giocare e lo scontro diretto, anche questo a Torino: si possono considerare alla pari Juve e Napoli?
«Premessa, sempre meglio essere primi che secondi e avere ovviamente un po’ di vantaggio. Ma quattro punti sono recuperabili se il Napoli fa il Napoli. La regola essenziale deve essere crederci, non sperare. Gli azzurri ce la possono ancora fare, altro che».
Quella del campionato 1999-2000 era la squadra di Ferrara, Van der Sar, Zidane, Inzaghi e Del Piero.
«Ma già dalle prime giornate pensammo di giocarcela fino alla fine perché gli juventini alternavano grandi risultati a sconfitte inattese: mi vengono in mente gli stop contro Lecce, Reggina e Verona. Ecco, la differenza è che allora ogni tanto si fermavano, invece adesso sembrano un rullo compressore. Però a noi la cosa non ci toccava più di tanto, mister Eriksson ci vietò di parlare e di concentrarci sui nostri rivali».
Il momento clou a Torino, quando Juventus e Lazio si trovarono faccia a faccia.
«Uno a zero per noi dopo un primo tempo senza reti. Passaggio di Veron e gol di Simeone, dopo quella sfida dimezzammo a due punti lo svantaggio: nessuno aveva la nostra forza d’animo e la nostra voglia di completare la rimonta».
L’epilogo all’ultima giornata: tutto troppo facile per la Lazio all’Olimpico contro la Reggina, mentre la Juventus annegava nel pantano di Perugia.
«La nostra partita finì mentre a Perugia c’era da giocare ancora tutto il secondo tempo. Pure in quell’occasione, imponemmo a noi stessi di non vedere in tv la gara dei bianconeri, accendevamo la radio ogni dieci minuti, un’ansia allucinante, quasi disumana».
Pensare agli altri rischia di sottrarre energie? Una cosa simile potrebbe essere accaduta al Napoli prima di scendere in campo contro la Roma conoscendo in anticipo l’esito di Lazio-Juventus?
«Alla fine un calciatore è un essere umano, qualche episodio può spostare piccoli equilibri. Nel caso degli azzurri, trovo strano quello che è accaduto due settimane fa: il Napoli era entrato bene in campo, portandosi subito in vantaggio. Poi è andata come è andata ma sempre al culmine di una sfida dominata nel conteggio delle occasioni e del possesso palla: voglio dire che quella volta la prestazione c’è stata».
Crederci, più di sperare: giusto, Marcolin?
«Inutile girarci intorno: bisogna provare a vincere tutte e dieci le partite. Compresa la super sfida, certo. Non puoi pensare di vincere lo scudetto senza aver battuto la Juventus al San Paolo o in casa sua».
Il segreto della rimonta della sua Lazio?
«Pensare a noi stessi, sempre. È quello che consiglio ad Hamsik e al Napoli, mi pare che la filosofia degli azzurri sia più o meno la stessa. Due, tre o quattro punti in meno cambia poco o niente fino a quando arriverà il giorno dello scontro diretto: lo scudetto si deciderà il 22 aprile. E gli azzurri dovranno portar via da Torino i tre punti se vogliono tornare a casa con questo benedetto tricolore».
Fonte: Il Mattino