I due sono quasi imprescindibili. Stretto in quella giacca azzurra con il golfo incorniciato dalla cravatta, Gigi Necco aveva trovato una nuova identità: Caccamo di cognome, Felice (e come, sennò?) di nome. Così Teo Teocoli ribattezzò il corrispondente dal San Paolo della domenica pallonara.
Teocoli, Necco fu la sua musa. «Sì, con quelli di Mai dire gol volevamo fare un personaggio napoletano. Io ne avevo uno in canna, ma non mi convinceva. Intanto, però, continuavo a vedere questo giornalista con la giacca azzurra e quel modo di raccontare sopra le righe. Un cronista, pensavo, dovrebbe essere meno tifoso. Invece il suo amore per il Napoli e per Napoli era più forte di tutto».
Così scoccò la scintilla. «La fortuna volle che entrai in un magazzino degli studi televisivi dove giravamo e mi cadde l’occhio su una vecchia giacchetta azzurro-Napoli. Allora mi misi una pancia finta, solo che mi mancava il faccione di Necco e decisi di virare su un ibrido, con la voce nasale e i capelli rossi. Dopo qualche puntata, altro colpo di fortuna: l’addetto alle luci commette un errore, dietro di me c’era il cromakey con il golfo di Napoli e la luce buca la cravatta. Quell’effetto indesiderato colpì moltissimo gli spettatori».
Lei e Necco vi siete anche incontrati. «Quella volta a Taormina resta indimenticabile. Ero su una spiaggetta, una quindicina di anni fa. Vedo venire verso di me quest’uomo grosso che mi fa: Uè Caccamo, sono Luigi Necco. Io gli dissi: Buongiorno, signor Necco, come sta?. E lui: Ma come, mi hai copiato e mi dai del lei?. Ci demmo appuntamento per la mattina dopo, venne all’hotel in pantaloncini e sbracciandosi da lontano mi salutò: Uè, Teo, eccomi qua!. Ho un ricordo bellissimo di quell’uomo. Era il dodicesimo uomo in campo, il bonaccione dietro al quale i ragazzini strillavano durante i collegamenti. Lui a un certo punto aveva perso un po’ il controllo della situazione e li teneva a bada a fatica. Ma non era solo questo. Si è impegnato contro la camorra, ha avuto tanti interessi. E poi era simpatico, ma aveva anche molta classe, sebbene il fisico forse non gli rendesse giustizia».
Nei suoi racconti di calcio c’era molta ironia, molta leggerezza. In fondo un po’ eravate colleghi. «Necco ha anticipato la freschezza di certi toni ironici associati allo sport. Ricordo il saluto con le quattro dita dopo la vittoria contro il mio Milan. Scherzando, glielo rinfacciai. Lui mi rispose: Avevate perso, che dovevo fare?. Bisogna avere stile per certe cose, altrimenti non te lo perdonano. Necco ha iniziato quello che poi, nel mio piccolo, credo di aver continuato, facendo diventare l’intrattenimento una cosa sola con lo sport».
Necco era il simbolo di un’epoca in cui il racconto sportivo aveva una forte connotazione localistica. Un modo di porgere il calcio sospeso tra tifo e folklore. Quella televisione oggi non c’è più. «Già, c’era un’aria di simpatia, i corrispondenti di Novantesimo minuto facevano sorridere. A Mai dire gol con la Gialappa’s facemmo tanti altri personaggi legati alle squadre di serie A: Gianduia Vettorello da Torino, Frengo e stop da Foggia. Ma Necco-Caccamo era la matrice. Oggi, invece, sono tutti impostati, belli, giovani. E parlano a duemila all’ora: credono che quella sia bravura, ma non è così».
Eppure Necco in tv era già morto un paio d’anni fa. «Sì, durante una puntata di Tale e quale show, su Rai Uno, Claudio Lippi diede la notizia in diretta. Alla fine della puntata, Gigi Necco mi chiamò e mi disse: Ma quale morto? Io sono vivo, sto a casa mia. Dici a chill’ che ha fatto na figura e …».
Ora che Gigi Necco purtroppo se n’è andato davvero, Caccamo continuerà a vivere? «A teatro Caccamo c’è sempre e resterà. Certe macchiette non tramontano mai. E poi grazie a lui, e quindi grazie a Necco, ho fatto una fortuna».
Teocoli, Necco fu la sua musa. «Sì, con quelli di Mai dire gol volevamo fare un personaggio napoletano. Io ne avevo uno in canna, ma non mi convinceva. Intanto, però, continuavo a vedere questo giornalista con la giacca azzurra e quel modo di raccontare sopra le righe. Un cronista, pensavo, dovrebbe essere meno tifoso. Invece il suo amore per il Napoli e per Napoli era più forte di tutto».
Così scoccò la scintilla. «La fortuna volle che entrai in un magazzino degli studi televisivi dove giravamo e mi cadde l’occhio su una vecchia giacchetta azzurro-Napoli. Allora mi misi una pancia finta, solo che mi mancava il faccione di Necco e decisi di virare su un ibrido, con la voce nasale e i capelli rossi. Dopo qualche puntata, altro colpo di fortuna: l’addetto alle luci commette un errore, dietro di me c’era il cromakey con il golfo di Napoli e la luce buca la cravatta. Quell’effetto indesiderato colpì moltissimo gli spettatori».
Lei e Necco vi siete anche incontrati. «Quella volta a Taormina resta indimenticabile. Ero su una spiaggetta, una quindicina di anni fa. Vedo venire verso di me quest’uomo grosso che mi fa: Uè Caccamo, sono Luigi Necco. Io gli dissi: Buongiorno, signor Necco, come sta?. E lui: Ma come, mi hai copiato e mi dai del lei?. Ci demmo appuntamento per la mattina dopo, venne all’hotel in pantaloncini e sbracciandosi da lontano mi salutò: Uè, Teo, eccomi qua!. Ho un ricordo bellissimo di quell’uomo. Era il dodicesimo uomo in campo, il bonaccione dietro al quale i ragazzini strillavano durante i collegamenti. Lui a un certo punto aveva perso un po’ il controllo della situazione e li teneva a bada a fatica. Ma non era solo questo. Si è impegnato contro la camorra, ha avuto tanti interessi. E poi era simpatico, ma aveva anche molta classe, sebbene il fisico forse non gli rendesse giustizia».
Nei suoi racconti di calcio c’era molta ironia, molta leggerezza. In fondo un po’ eravate colleghi. «Necco ha anticipato la freschezza di certi toni ironici associati allo sport. Ricordo il saluto con le quattro dita dopo la vittoria contro il mio Milan. Scherzando, glielo rinfacciai. Lui mi rispose: Avevate perso, che dovevo fare?. Bisogna avere stile per certe cose, altrimenti non te lo perdonano. Necco ha iniziato quello che poi, nel mio piccolo, credo di aver continuato, facendo diventare l’intrattenimento una cosa sola con lo sport».
Necco era il simbolo di un’epoca in cui il racconto sportivo aveva una forte connotazione localistica. Un modo di porgere il calcio sospeso tra tifo e folklore. Quella televisione oggi non c’è più. «Già, c’era un’aria di simpatia, i corrispondenti di Novantesimo minuto facevano sorridere. A Mai dire gol con la Gialappa’s facemmo tanti altri personaggi legati alle squadre di serie A: Gianduia Vettorello da Torino, Frengo e stop da Foggia. Ma Necco-Caccamo era la matrice. Oggi, invece, sono tutti impostati, belli, giovani. E parlano a duemila all’ora: credono che quella sia bravura, ma non è così».
Eppure Necco in tv era già morto un paio d’anni fa. «Sì, durante una puntata di Tale e quale show, su Rai Uno, Claudio Lippi diede la notizia in diretta. Alla fine della puntata, Gigi Necco mi chiamò e mi disse: Ma quale morto? Io sono vivo, sto a casa mia. Dici a chill’ che ha fatto na figura e …».
Ora che Gigi Necco purtroppo se n’è andato davvero, Caccamo continuerà a vivere? «A teatro Caccamo c’è sempre e resterà. Certe macchiette non tramontano mai. E poi grazie a lui, e quindi grazie a Necco, ho fatto una fortuna».
Fonte: Il Mattino