Pizzul a Gazzetta: “Ai miei tempi era doveroso rispettare tutti nelle telecronache”

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Bruno Pizzul, voce storica del calcio italiano, ha parlato oggi a La Gazzetta dello Sport.

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Ottant’anni da Bruno Pizzul: che bella vita…«Sì, ma non le ho mai dato una dimensione eroica. Sarei sciocco se negassi di aver fatto un mestiere invidiato da tanti perché giri il mondo, ti occupi di un gioco che appassiona milioni di italiani, e diventi un volto noto, quasi uno di famiglia. Tutti aspetti che ti riempiono piacevolmente le giornate. A patto di non prendersi mai troppo sul serio. Errore che non ho commesso, infatti».

Competenza, equilibrio, ricchezza lessicale e una voce inconfondibile. Si riconosce?

«Beh, la voce non è merito mio. Devo dire che il Liceo Classico e poi la Facoltà di Giurisprudenza mi hanno dato una bella mano. La competenza è sempre discutibile nel calcio, però qualche partita di serie B col Catania l’ho giocata. Centromediano, cioè marcavo il centravanti. Alto, esile, meglio come pallavolista… Durò poco».

Tifoso del Toro, come mai?

«All’oratorio di Cormons nel dopoguerra esisteva un solo pallone, procurato miracolosamente da don Rino. Il quale, stufo dei nostri litigi, lasciava che a gestirlo fossero i più grandi, che ci escludevano. Loro, i grandi, tutti juventini. Così noi piccoli tutti granata. Ché oltretutto era il Grande Torino di capitan Valentino».

Al microfono assolutamente imparziale: scuola Rai?

«Mi sono affermato negli anni del monopolio, era doveroso usare cautela, rispettare tutti. In Rai sono entrato con un concorso per programmatore. Al secondo step mi fece l’esame Paolo Valenti, Novantesimo Minuto… Parlammo di calcio, dei miei trascorsi nel Catania e nell’Ischia, e a un certo punto mi disse: cerchiamo telecronisti, sei perfetto, lascia perdere la programmazione e vieni a fare il corso. Entrai in azienda nel 1969 e nel 1970 ero già al Mondiale, con Carosio e Martellini. Girone della Germania, la seguii fino al 3-2 sugli inglesi, quarto di finale. Poi li fece fuori Gianni Rivera».

Il nostro primo Pallone d’Oro

«Per me anche il più bravo di tutti sino all’era Baggio. Del quale mi ha conquistato la vocazione a divertire e divertirsi nonostante i gravi infortuni patiti in avvio di carriera. Perciò eleggo lui a preferito e solidarizzo con la madre di Ulivieri che un giorno scacciò il figlio reo di aver messo Robi in panchina: in questa casa non entra chi non fa giocare Baggio!».

E sì che di campioni ne ha visti

«Ho avuto una carriera fortunata e lunga con cinque Mondiali e quattro Europei. Purtroppo non ho avuto il piacere di esultare per un trionfo azzurro, però mi hanno ripagato le vittorie dei club».

Con la sua voce le notti di Italia ‘90 furono davvero magiche

«Ah, che bella squadra. La migliore e quindi quella che avrebbe meritato di più il titolo. Fu un campionato davvero esaltante che solo Maradona poteva rovinarci».

A Pasadena quattro anni dopo il suo Baggio finì in lacrime.

«Ma era un’Italia arrivata in finale da terza nel girone, grazie a un miracoloso ripescaggio. Certo, rimasi attonito anche io quando fallimmo i rigori contro il Brasile. Quella finale fu equilibrata, se l’avessimo vinta non avremmo rubato».

Pure l’Europeo 2000 ci riservò una bruciatura mica male.

«Sarebbe bastato gestire meglio l’azione conclusiva. Lì mi dispiacque per il mio amico c.t. Dino Zoff, venne massacrato di critiche e non se lo meritava».

Lei in diretta dovette gestire quella tragedia di Bruxelles del maggio 1985.

«È l’episodio che vorrei poter cancellare dalla mia vita perché ferisce la mia coscienza di uomo. Fu un qualcosa di inammissibile, di inaccettabile».

La «Gazzetta» commentò: Juve, restituisci questa Coppa insanguinata.

«Anche io trovai eccessiva l’esultanza dei giocatori sotto la curva, sarebbe stato più opportuno depositare la Coppa sul prato, davanti alla gradinata crollata. Ma a caldo era difficile capire come gestire al meglio l’allucinante situazione».

I suoi amici fra i giocatori?

«Facchetti, Danova, Rivera quelli frequentati di più. Ma ho vissuto un’epoca in cui i calciatori e i cronisti andavano a braccetto, si giocava a carte. Intervistare Rocco ad esempio era spesso molto divertente. Oggi sono mondi lontanissimi perché le squadre vivono in isolamento Ma ho l’impressione che i rapporti siano difficili anche fra i giocatori. Al di là della tavolata negli orari canonici ognuno ha le sue cuffiette, il suo mondo. È difficilissimo per un tecnico creare un clima di complicità, solidarietà».

Più divertente il calcio odierno o quello di ieri?

«Oggi molte partite annoiano. I calciatori sembrano omologati, nessuno tenta di uscire dagli schemi è un calcio muscolare e tattico, il talento è difficilmente esprimibile. Il calcio che ho commentato io si muoveva su ritmi più conciliabili con l’estro, l’imprevedibilità e quindi produceva quasi sempre spettacolo».

È favorevole al Var?

«Dico di sì a fatica. Lo riserverei agli errori davvero clamorosi e sui fuorigioco non starei a calcolare i 5 centimetri del ginocchio o del piede oltre la linea. Non esageriamo, dai».

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