Infantino (Pres. Fifa): “Mi sarebbe piaciuto consegnare la coppa a Buffon!”
Gianni Infantino, presidente della Fifa, parla a La Gazzetta dello Sport, con tanto rammarico, parlando del mancato Mondiale.
Infantino tocca anche altri argomenti, quali il VAR, il ranking e il mercato calcistico.
«Sono triste, sì che sono triste per il Mondiale. Mi viene quasi da piangere. Il primo da presidente Fifa e l’Italia non c’è…».
«Credo sia una tristezza collettiva. Parliamo di una squadra di grande tradizione, che in questi eventi dà il meglio. Ma chi è in Russia s’è meritato la qualificazione, e comunque l’Italia è rimasta fuori con un presidente italiano: serve altro per dire che tutto è stato onesto e pulito?».
Ora siamo a cinque mesi esatti alla finale di Mosca.
«E mi sarebbe piaciuto consegnare la coppa a Buffon».
Un caso, l’eliminazione dell’Italia, o doveva succedere?
«Temo la seconda opzione. Da tempo c’erano segnali in questo senso. Poi il tiro di Darmian contro la Svezia poteva entrare, invece di prendere il palo, ma avrebbe solo nascosto i problemi. L’Italia era la prima al mondo per organizzazione, club, formazione, strutture, alimentazione, tattica. In tutto. Ma gli altri non sono rimasti a guardare, mentre noi abbiamo dimenticato che, senza il lavoro, il talento non basta. Quanti giovani passano in prima squadra?».
Un suggerimento per i commissari e per la futura federazione?
«Spero il commissariamento sia il più breve possibile. Uno o due uomini non possono cambiare una situazione che ha bisogno di un presidente forte, condiviso da tutte le parti, e con una strategia a lungo termine. Club, leghe, giocatori, tutti devono andare nella stessa direzione. Come in Germania negli anni 90, dopo la crisi di risultati. Come in Inghilterra dopo l’Heysel. Tutti al tavolo a pensare al bene comune. Oggi la Germania vince il Mondiale e a Confederations con i giovani, e l’Inghilterra è campione del mondo Under 17 e Under 20».
Eppure l’Italia resta spesso un laboratorio d’idee. Sul mercato da ristrutturare, per esempio. Sulla Var. Perché?
«Nel nostro Dna c’è la creatività. Riguardo al mercato, capisco che sia un’urgenza italiana: quando c’erano soldi, diritti tv, successi nelle coppe, il problema era meno sentito. Ma comunque c’è da intervenire per tutti. E subito. Sono già al lavoro, ho presentato un piano con undici proposte al comitato stakeholder».
Che cosa fare?
«Quello che vedo non mi piace. Nel 2017 i trasferimenti internazionali hanno raggiunto i 6,4 miliardi di dollari, le commissioni per gli agenti il mezzo miliardo, mentre per la formazione ci sono soltanto 60 milioni. Soldi, questi, che andrebbero ai piccoli club. Com’è possibile che, mentre il giro d’affari aumenta, gli investimenti per i giovani si riducano?».
E quindi?
«Regole di trasparenza inderogabili per gli agenti. Regole sui trasferimenti, anche per l’immagine del calcio: non è bello che il mondo veda circolare sei miliardi e poi, se le autorità giudiziarie intervengono, si scoprono nero e illegalità. Riduzione della finestra di mercato estiva: troppo lunga, i campionati devono cominciare con squadre già fatte. Riduzione del numero di trasferimenti a gennaio: era il mercato di riparazione, non si può rifare la squadra. Non mi piace un giocatore che fa il girone di andata con un club e quello di ritorno con un altro».
Come un tempo.
«Non è nostalgia, le regole cambiano, ma vorrei recuperare i valori che hanno reso grande il calcio. E ancora: riduzione dei prestiti, più fondi per la formazione, rose con massimo 25 elementi. I migliori devono giocare, non fare la panchina negli stessi grandi club».
Questo si può fare in un sistema, scusi il gioco di parole, di mercato?
«Sì, perché, se sono regole per tutti, non sono discriminatorie. Gli americani hanno il sistema più regolamentato al mondo, eppure sono quelli che guadagnano di più: hanno capito che al movimento serve una competizione equilibrata per crescere».
E gli agenti?
«A volte certe cifre sembrano ben altro che commissioni. Gli stessi agenti, quelli seri, ci chiedono regole. Soltanto nel calcio chiunque può improvvisarsi agente».
Difficile che nel 2018 cambi qualcosa?
«Credo che per quest’anno le date di mercato saranno le stesse, ma entro fine 2018 vorrei il nuovo set di regole. Vorrei un sistema a prova di critiche».
Critiche anche alla Var: giuste o si pretende troppo?
«Due minuti sono tanti per una decisione, ma scenderanno. Meglio due minuti per una decisione giusta, oppure una subito ma sbagliata? Non ci rendiamo conto che in una partita si perdono sette minuti per le rimesse dal fondo e laterali, e otto minuti e mezzo per le punizioni. Il problema sono i due della Var che possono rendere più giusto un risultato?».
Ormai è chiaro che la vedremo al Mondiale…
«Decide l’Ifab a marzo, ma la raccomandazione è stata forte. Ero scettico due anni fa, quando la proposi, subito dopo l’elezione. Ma allo stesso tempo, essendo cresciuto a pane e Gazzetta, e ricordando tutte le polemiche, mi sono detto: “Se non proviamo”… Non si torna indietro, è stata una rivoluzione».
Non merita però qualche correzione il protocollo?
«Credo serva più comunicazione e più chiarezza, anche per il pubblico, per evitare equivoci: in Italia un miglioramento c’è già stato. Anche se non si può chiarire tutto al video. Pensi al fallo di mano: è la palla che va in direzione del braccio o viceversa? Mi accontenterei del 99% di risposte corrette che abbiamo ormai raggiunto: il 100% no, non va bene nel calcio. Importante evitare che l’arbitro commetta errori gravi, che un Mondiale non sia vinto per un errore. L’interpretazione umana resta».
Non sarebbe male anche una corsetta più frequente al video.
«Proprio così, forse gli arbitri non sono abituati: ma andare, e vedere da più angolazioni, sarà importante. I casi devono restare i soliti: gol, rigore, espulsione, scambio di persona».
Il lavoro di Collina, Busacca, Rizzoli, Rosetti è molto italiano.
«In questo siamo i campioni del mondo. Per cui, almeno in Italia, potete chiamarla moviola, non è un problema».
Si può presumere che il Mondiale 2026 avrà molta moviola. E sarà il primo a 48 squadre, una sua idea. La critica riguarda i gruppi iniziali da 3 squadre, con l’ultima partita a rischio “accordo”. Preoccupato?
«Abbiamo tempo, ma ci si dimentica che, dopo i mini gruppi, dai sedicesimi fino alla finale sarà eliminazione diretta: niente calcoli. Per la famosa terza partita, che potrebbe spingere ad accordarsi, dico solo che decideremo prima il criterio, così limiteremo al massimo i problemi. Si è parlato di rigori, di shoot-out a fine partita, ma non mi convincono».
Meglio il ranking?
«Il ranking Fifa potrebbe essere la soluzione, invece della differenza reti: così il pari potrebbe non bastare a entrambe, una almeno dovrebbe vincere. Faremo test nei tornei giovanili per avere statistiche serie. E comunque, essendo un gruppo da tre, già la prima partita non permette calcoli».
Il ranking cambierà dopo il Mondiale?
«Da luglio. Per renderlo più giusto. Mantenendo le amichevoli, ma cambiandone il peso».
Poi c’è la questione del nuovo Mondiale per club.
«Credo si farà dal 2021, a giugno, ogni quattro anni. Con 24 squadre, di cui la metà europee, in 8 gruppi da 3 club. Più quarti, semifinali e finale. Sono tutti favorevoli, dobbiamo discutere i dettagli. Anche il calendario ne beneficerà: saranno in totale 31 partite. Oggi, tra Confederations e Mondiale per club a dicembre, sono 44».
L’Uefa sta pensando a una Global Nations League allargata a tutte le confederazioni: preoccupato?
«Per niente. A parte il fatto che la Nations l’ho progettata io quand’ero all’Uefa, ben venga tutto quello che consente alle nazionali di giocare partite più interessanti, spettacolari e che aumentino i guadagni».
Una delle battaglie in cui Fifa e Uefa possono allearsi è quella sul fair play finanziario.
«Il fair play e le nuove regole sui trasferimenti possono, devono, essere in simbiosi. L’80% delle spese dei club va in mercato e stipendi, troppo. Il salary cap è difficile, ma si potrebbe pensare a un tetto agli ingaggi, basato sugli introiti generali della squadra, per rendere più sostenibile il sistema. C’è la luxury tax. Senza dimenticare che le più efficaci sono le misure sportive, come gli homegrown players, cresciuti nel vivaio».
«Giovani» come Buffon che è ancora indeciso se continuare . Se appendesse i guantoni, le piacerebbe averlo alla Fifa?
«Vado di persona a prenderlo».