Il tema dei cambiamenti di ruolo è dunque tornato d’attualità, e non soltanto a Napoli. L’idea di spostare Juan Cuadrado in posizione di terzino, utile per recuperare il risultato a Lisbona e con possibilità concrete di venire presto replicata, è la prima delle mosse di Max Allegri per shakerare la situazione tattica della Juve, fin qui un po’ stagnante. Perfino Vincenzo Montella, nel faticoso autunno milanista, sta ottenendo le uniche soddisfazioni dall’adattamento di Fabio Borini al ruolo di esterno tutto corsa. 
Poche soddisfazioni del mestiere di allenatore sono più esaltanti di un cambio ruolo di successo. La storia moderna ne è piena, a partire dall’intuizione di Manlio Scopigno di arretrare Pierluigi Cera, un centrocampista, alle spalle della difesa per sostituire l’infortunato Giuseppe Tomasini nel Cagliari destinato a vincere lo scudetto del 1970. Da quella genialata sono passati quasi cinquant’anni, ricchi non soltanto di emergenze, ma anche di scelte precise: quando Giampiero Boniperti acquistò Gaetano Scirea dall’Atalanta aveva ben presente gli esperimenti da libero che lui, regista naturale, s’era concesso a Bergamo, e con ottimi risultati. Così, dovendo battezzare l’erede di Sandro Salvadore, puntò su quel giovane centrocampista: nel giro di poche stagioni Scirea avrebbe rivoluzionato l’interpretazione del ruolo, diventando qualcosa di molto vicino a un Franz Beckenbauer italiano. Non sempre le intuizioni reggono alla prova del campo, purtroppo. Qualche anno dopo Enzo Bearzot, consapevole di avere due campioni nello stesso ruolo di libero Scirea appunto e Franco Baresi propose al milanista di percorrere in Nazionale il cammino inverso, dieci metri più avanti a fare il centromediano metodista: idea affascinante e sensata, cui però Franco non riuscì ad adattarsi. Sarebbe diventato leader anche nell’Italia, ma soltanto dopo il ritiro di Scirea. (GdS)
