Si è spento troppo presto, a 69 anni.
A far scattare l’allarme è stata una nipotina che lo stava aspettando all’uscita della scuola. Aveva rassicurato la famiglia: «Vado a prenderla io». Dopo mezz’ora di inutile attesa, quando ormai il portone dell’istituto era stato chiuso, sono partite le ricerche. Giuseppe Massa, “Peppiniello”, è stato trovato riverso sul volante a bordo della sua automobile. Un malore improvviso, che gli ha concesso soltanto il tempo di frenare e accostare.
E’ morto nella sua Napoli, a poca distanza dai Colli Aminei dove aveva trascorso un’infanzia segnata da affetto e povertà. Aveva fatto salti di gioia quando, nell’estate del 1974, Luis Vinicio e Corrado Ferlaino lo strapparono all’Inter infilandogli finalmente la maglia azzurra che fin da bambino aveva sognato. Quei due anni nelle nebbie di Milano lo avevano immalinconito, lui per natura allegro e spumeggiante come le onde del mare sulla scogliera di via Caracciolo.
Metà del suo cuore lo aveva lasciato a Roma, sponda biancoazzurra, dove era approdato appena diciottenne, pescato da Carletto Galli nell’Internapoli dove giocava assieme a Giorgio Chinaglia e Pino Wilson, che lo avrebbero raggiunto un anno dopo. Ero, allora, il cronista che per il “Corriere dello sport” seguiva la Lazio, e ricordo bene i primi passi di Massa nella “Primavera” di Enrique Flamini assieme ad un altro giovane dal futuro luminoso, Giancarlo Oddi. Il talento di Massa risaltava come un faro nel buio, e come Oddi ricorda oggi «si vedeva subito che quella categoria gli stava già stretta». Ala a tutto campo, una straordinaria agilità favorita dalla statura piccola e dal peso limitato. «Un precursore del tornante alla Candreva», osserva Pino Wilson.
Arrivò a Roma accompagnato dai genitori, gente modesta ma dai rigidi principi che il figlio, unico maschio, aveva bene assorbito. Nando Vona gli trovò alloggio al numero 60 di Lungotevere Flaminio, dove una vecchietta che sulle spalle portava sempre, inverno ed estate, uno scialle viola a uncinetto, affittava una camera da letto con uso del gabinetto. Massa la divideva con Michele Sulfaro, diverso nel carattere ma cuore d’oro come il compagno. «». E aggiunge sorridendo: «In quattro o cinque avevamo affittato a Ladispoli un appartamento ad uso garconniere dove il lunedì portavamo allegre ragazze. Beh, lui qualche volta c’era ma a momenti bisognava spogliarlo».
«Un professionista esemplare già a 18 anni», sottolinea Oddi. Ma non secchione, anzi spiritoso e divertente quando la compagnia lo rassicurava. Era uno dei pochi a scambiare battutine con Juan Carlos Lorenzo, argentino cordiale e ispido a corrente alternata. Lorenzo lo lanciò fra i titolari, Maestrelli ne fece una delle armi decisive per il ritorno in serie A nel 1971/72: 21 gol Chinaglia, 12 e mai un’assenza dello scugnizzo. Massa era entrato nel cuore dei tifosi e dei compagni, ma anche nei pensieri dei grandi club. Dall’Inter arrivò a Umberto Lenzini l’offerta che non si può rifiutare: 350 milioni più Frustalupi. Sembrava un sacrificio necessario ma tecnicamente incolmabile. E invece da quell’operazione di mercato nacque la Lazio che due anni dopo avrebbe conquistato lo scudetto: Frustalupi il faro, Re Cecconi, Garlaschelli e Pulici arruolati con i soldi di Fraizzoli.
Un lembo del primo tricolore della storia laziale, caro Peppiniello, ti appartiene di diritto.
Fonte: CdS