Il Mattino – G. Ventura: “Obiettivi? Riportare l’Italia giocare al San Paolo. Vi svelo un retroscena sulla 10 di Insigne”
Interessante intervista del c.t. dell'Italia a "il Mattino"
La missione del ct Giampiero Ventura è chiara: non solo portare la giovane Italia al Mondiale in Russia ma creare un gruppo che possa arrivare anche oltre. Agli Europei del 2020 e al successivo Mondiale a Doha, nel 2022. Nella lunga intervista rilasciata ieri al Mattino, durante il forum che si è tenuto nella sala Siani, il tecnico ha parlato anche di altro, di tanto altro. Soffermandosi sui temi più caldi, dal Var al gap con la Spagna. E poi ha risposto a domande sul Napoli e sulla lotta per il titolo, su De Laurentiis e Sarri, su Insigne e Jorginho. E in più anche spazio ai ricordi, quelli legati alla sua permanenza sulla panchina del Napoli nel 2004. Ecco cos’ha dichiarato a “il Mattino” il c.t. dell’Italia.
Ventura, lei ha sempre detto che allenava per libidine. Si può allenare con libidine anche da commissario tecnico della Nazionale? «Stanno cercando di abbassarmela. Ma fare il c.t. è un altro mestiere: abbiamo 48 ore per preparare la partita, non abbiamo la possibilità di avere il contatto quotidiano col campo e con i giocatori. Però bisogna riuscire a rialzarla quella libidine…».
Perché ha detto di sì alla panchina dell’Italia? «La chiamata è stata un motivo di grande orgoglio: avevo due anni di contratto ancora con il Torino e una buona offerta da una squadra importante. Ho barcollato e alla fine ho detto di sì… Scoprendo che è un pericolo ma stimolante».
Italia-Spagna ha messo in rilievo come la nostra squadra avversaria era composta da giocatori che hanno un palmaraes di grande livello mentre l’Italia, al di là degli juventini, ha giocatori con scarsa esperienza internazionale. Quanto conta?
«Determina tutto. Quando prendiamo le nazionali più forti, la Francia, la Spagna, la Germania, l’Inghilterra vediamo quanti francesi giocano in Francia, quanti inglesi in Premier… Questo è un motivo di profonda riflessione. Dopo il ko della Spagna le critiche erano legate al fatto che tutti pensavano che noi fossimo più forti della Spagna. L’Under 21 ne ha presi 3, noi ne abbiamo presi 3, la Juve ne ha presi 3: in questo momento c’è un dislivello sia di natura fisica che qualitativa».
Come si colma questo gap?
«Abbiamo due strade: aspettiamo 15 anni che nasca un altro Totti o un altro Del Piero o ci mettiamo al lavoro cercando di organizzarci e puntando alla crescita dei giovani».
Il nostro massimo obiettivo era il playoff in queste qualificazioni?
«Non è una colpa se per la prima volta nella storia va ai Mondiali solo la prima del girone e non è una colpa se per la prima volta nella storia non siamo stati testa di serie: se capiti con Spagna o Germania, può succedere che sei costretto ad andare a giocare i playoff. Ma senza farne un dramma. Oggi noi pensiamo a battere la Macedonia ed ovvio che se non andiamo in Russia sarebbe un fallimento. Ma non dimentichiamo quello che abbiamo fatto 11 mesi fa, con un ricambio epocale: a giugno avremo solo quattro anziani come Buffon, De Rossi, Chiellini e Barzagli. Poi dopo quei Mondiali avremo una età media bassissima, saremo una squadra piena di giovani».
Cosa non le va giù delle critiche che ha ricevuto? «Nelle ultime undici partite abbiamo vinto otto volte, pareggiato con Spagna e Germania e ne abbiamo persa una, quella di Madrid, che di colpo ha cancellato tutto quello che era stato fatto. Se stiamo cercando di costruire qualcosa di epocale dobbiamo avere pazienza».
Qual è stato il metodo introdotto da Ventura? «Sono partito prendendo una Nazionale, quella di Conte, che era la più vecchia degli ultimi 50 anni. Non c’è nulla di offensivo, è un dato di fatto. E allora mi sono documentato perché mi ha sempre stupito l’organizzazione della Germania».
I soliti tedeschi. «La federazione, dopo il disastro del 2006, ha parlato con i club e ha deciso di pagarli per far fare 1-2 ore di allenamento settimanale alle proprie squadre con il modulo della nazionale. Quindi tutti i giovani, una volta che andavano in nazionale, era come se ci fossero sempre stati».
E lei cosa ha fatto? «Ci ho provato a fare la stessa cosa. Ho fatto il giro d’Italia degli allenatori e dei presidenti (e non sono riuscito a incontrarne solo due e uno era De Laurentiis che non c’era) spiegando i pro e i contro di questa situazione. E li ho convinti, andando ben oltre le più rosee previsioni».
Quali i pro e i contro? «Se un giocatore va in Nazionale, il suo valore cresce… Poi è ovvio che agli allenatori si chiede un piccolo sacrificio del loro tempo di allenamento».
I risultati? «Abbiamo fatto esordire 12 giocatori, abbassato l’età media di 4-5 anni e fatto venire la voglia a tanti calciatori di indossare la maglia azzurra, dando un nuovo senso di appartenenza a questi colori».
È soddisfatto delle ultime prove di Insigne con l’Italia? «Insigne agli Europei ha giocato poco perché il modulo non richiedeva il suo ruolo. Ora ce l’ha, al di là del fatto che i moduli sono solo dei numeri. Ma a Madrid non ha deluso meno di altri. Perché il problema al Bernabeu è stato sfacciatamente fisico, non solo qualitativo».
Ma sarebbe cambiato qualcosa iniziando il campionato una settimana prima? «Se solo il Milan e il Napoli negli ultimi anni hanno superato il preliminare Champions qualcosa pure significherà».
Insigne è un punto di riferimento della sua Nazionale? «Lorenzo ha avuto la maturazione nell’ultimo anno. Ora è un giocatore completo nel suo contesto e con le sue caratteristiche. Poi apro una parentesi: andiamo al Mondiale, facciamo 30 allenamenti tutti assieme per 20 giorni e la prestazione di Insigne sarà di gran lunga superiore a quella che avete visto. Il modulo non c’entra nulla».
Se si rigioca Italia-Spagna in Russia finisce come a Madrid?
«Impossibile. Sono stra-sicuro che andrebbe diversamente. E ho una tale voglia che succeda…».
Jorginho ha dichiarato di essere amareggiato per non essere nella sua Nazionale. Potrebbe trovare spazio? «Mi piace molto il fatto che lui ci tenga a far parte del gruppo Italia. È una cosa che apprezzo. Con Conte, Insigne non poteva giocare perché il 3-5-2 non richiedeva il suo ruolo. Mi stupisce che tutti si meraviglino, il punto è che noi giochiamo senza metodista. Lui è il migliore interprete di questo ruolo, ma se, come detto, questo ruolo nella mia Nazionale attualmente non c’è, non posso chiamarlo. Solo con Israele ho giocato col 3-5-2, e solo in quel caso c’era il suo ruolo, ma in quel momento avevo la necessità di dare continuità al gruppo».
Cinque giornate di serie A: Napoli e Juve guidano il campionato. «Mai come quest’anno si sono accorciate le distanze. Il Napoli prima giocava e divertiva ora gioca e vince. E la cosa è diversa. È prioritario vincere, è un passo notevole in avanti. Poi la Juve mi pare che sia partita con un po’ di difficoltà ma come sempre con i risultati dalla sua parte».
Ha ragione Allegri quando dice che basta vincere 1-0? «Lo dice perché è lui che vince 1-0. Ha ragione quello che arriva primo, anche se in questo momento dal punto di vista spettacolare, la squadra che gioca meglio è il Napoli».
Le piace il Var? «Meno male che c’è. Come tutte le esperienze all’inizio deve essere metabolizzato: ma mai come in questo momento non c’è una sola polemica su quello che poteva essere fatto e non è stato fatto. Buffon? Non è stato capito, o forse si è spiegato male. Ma anche a lui il Var va bene».
Con il Var avrebbero annullato il gol di Maradona in Messico. «Ma lui sarebbe rimasto sempre Maradona, anche senza la Mano de Dios».
Meglio il gol di Mertens o di Maradaona? «Dico sempre Diego. Perché Maradona ha fatto tanti gol geniali, come quello con il Verona in cui ancora ti chiedi come gli sia venuto in mente di calciare da metà campo».
Il ct cosa si augura in questo campionato? «Che i giovani siano messi nelle condizioni di dimostrare il proprio valore. E poi nell’anno del Mondiale se qualche verdetto non arrivasse all’ultima giornata sarebbe meglio…».
Dopo le prime quattro giornate, le ultime cinque hanno fatto solo cinque punti, un record negativo, persino peggio dell’anno scorso. Sarebbe un vantaggio per il calcio italiano e per la Nazionale ridurre il numero delle squadre? «C’era una volta l’Ascoli di Rozzi e fare punti in casa sua era un’impresa. Prendere 4 o 6 gol, giocare in maniera arrendevole come ho visto fare negli ultimi due anni, non è un bene per il calcio italiano. Giocare in provincia era sempre una battaglia, perdevi lì gli scudetti: se provincia significa il Carpi di Castori, ben venga, se vuol dire arrendersi dopo tre mesi, allora no».
Cosa le è rimasto dei suoi mesi a Napoli? «Rammarico. Sono pochi quelli che scendono dalla A alla C. A gennaio andai via e iniziò la storia del Napoli: io faccio parte della preistoria, quando ci allenavamo a Varcaturo dove dovevamo anticipare di un’ora gli allenamenti perché le mamme anti-discariche bloccavano le strade. Il rammarico è per quello che poteva essere e non è stato».
Ovvero? «Sono stato da Sarri un anno fa a Castel Volturno e mi sono emozionato: era proprio lì che io e il direttore generale Marino sognavamo di realizzare i campi di allenamento».
Immaginava che De Laurentiis arrivasse a costruire questa società e questa squadra? «È partito da zero, da niente. E adesso la sua è una delle società più forti d’Italia. Ma lui era ambizioso e si capiva anche allora nonostante fosse alle prime armi».
Che punti in comune ha con Sarri? «Sono contento per Sarri, per quello che fa. Oggi è l’allenatore più chiacchierato, è figlio di quello che fa. Il suo prodotto è piacevole e se diventa anche vincente è il top del top».
A quali ricordi è più legato nella sua breve difficile ma intensa esperienza di Napoli? C’è un momento che le è rimasto nel cuore? «Mi ricordo ogni cosa di quei mesi. Il campionato iniziava e noi tesserammo Sosa che arrivò quando dovevamo andare in campo e invece non giocammo perché ci fecero saltare le prime due partite. Ricordo i 60mila con il Cittadella, quando all’intervallo in nove mi chiesero la sostituzione. Ricordo Carmando, riferimento di tutto e di tutti; Marino che andava a raccattare giocatori fuori rosa in giro per l’Italia».
Poteva aspettare una settimana in più De Laurentiis prima di esonerarla? «Il rammarico non è per quello. Vivo a Bari e sto benissimo. Quando sono arrivato a Napoli, dopo una settimana dissi: Non è facile vivere qui. Dopo un mese la città era diventata come una droga, qualcosa di straordinario».
Le scelte per la Nazionale sono già fatte o c’è spazio per novità? Le facciamo i nomi di Chiesa e Balotelli. «Le idee sono abbastanza chiare: ma magari mi spunta un Cabrini o un Paolo Rossi come a Bearzot nel 78 e nell’82 e rimetto tutto in discussione».
E SuperMario? «Gli ho parlato tre ore e mezza. Non c’è niente di segreto. Dipende da lui: nessuno può mettere in discussione le sue qualità. Si mettono in discussione altre cose».
Dei giocatori che ha conosciuto, chi ha sprecato il suo talento? «Fabian O’Neill. Ho visto giocare Zidane, Veron, ma nessuno era come lui. L’ho allenato a Cagliari: forza, competenza tecnica, qualità. Unico».
Un gioco: nel Napoli e la Juve chi la diverte di più? «Dybala e Mertens. Ma è un gioco…»
Mertens le piace tanto, vero? «Ha dei numeri straordinari, è giocatore, sa fare tutto, ha tempi di inserimento ma il suo rendimento aumenta tenendo conto delle conoscenze che ha dei tempi e dei compagni. E poi mi dà l’impressione di essere felice con il Napoli».
Come mai ha dato la 10 a Insigne? «Vi svelo una piccolo segreto: non sono stato io. Lorenzo è andato da Verratti e gliel’ha chiesta. E Verratti, con cui è amico dai tempi di Pescara, ha avuto qualche dubbio ma ha detto di sì. Ora se la vedranno tra di loro…».
Andrebbe ad allenare in Cina? «Mi hanno chiamato. Una offerta straordinariamente vantaggiosa. Se non fossi stato sotto contratto, ci avrei pensato. Ma da quando ho accettato l’incarico di ct, anche se non immaginavo il dopo-Spagna, ho l’orgoglio di voler centrare qualcosa di importante con la Nazionale».
Che campionato ci attende? «La serie A ha recuperato le due milanesi, c’è la Lazio che è una conferma e il Torino che sarà la sorpresa del campionato. Dall’Europa League in su sarà avvincente come non mai».
La Nazionale a Napoli quando la riporta?
«Non viene da un po’, è vero. Ma qui val la pena di portare l’Argentina, il Brasile o la Germania: bisogna riprendere il filo con il pubblico di Napoli che si è un po’ interrotto negli ultimi tempi. È la mia richiesta che ho fatto alla Federazione: organizzare al San Paolo una grande sfida».
Belotti li vale 100 milioni?
«Quella è la clausola di Cairo. Una grande intuizione».
Ma questo mercato lo chiuderebbe prima? «Certo. Almeno un giorno prima dell’inizio del campionato. In ritiro con me c’erano giocatori attaccati al telefono che non sapevano dove avrebbero giocato. Così non va bene».
Sarri è diventato Sarri a 55 anni. Ne è rimasto sorpreso? «Le squadre di Sarri hanno sempre giocato bene. Il Napoli è la squadra più organizzata della serie A, come lo era l’Empoli. Sono gli interpreti diversi. Molti allenatori fanno giocare bene le proprie squadre, sono gli interpreti che danno spettacolo. La grande bravura di Sarri è stata quella di far mettere questi campioni a disposizione della squadra e del suo gioco».
La Redazione