Però la domanda finale che si stanno facendo tutti, in questo golfo incantato, è: il gol di Mertens a Roma vale il gol di Maradona al San Paolo il 24 febbraio 1985 al portiere laziale Orsi, pensa un po’ la coincidenza, la Lazio da Diego a Dries come cornice del favoloso.
Il belga di Palazzo Donn’Anna e l’argentino che scelse Napoli come seconda mamma mia. Un educato e dolce ragazzo delle Fiandre, levigato dalla pioggia belga, scolpito da un ambiente rurale, calcisticamente affermatosi a Gent, città di strade acciottolate per biciclette e origini celtiche, e un ribelle del sud del mondo, dai suggestivi riccioli neri e il viso scugnizzo, così distanti tra loro, non solo nel tempo e nella cultura, però improvvisamente accostati per una prodezza in un campo di calcio.
Mertens come Maradona, neanche a dirlo. Tutta un’altra storia. Però, con questi colpetti geniali che si vanno ripetendo, dal pallonetto da destra ad Hart del Torino all’ultima orbita nella porta di Strakosha a Roma, Dries può avvicinarsi al divino? Si può avvicinare senza offendere la profonda nostalgia napoletana per il pibe. E, però, si dice che il Divino giocava tutto d’istinto e fantasia, sorretto da una tecnica eccelsa in quel piedino magico e mancino e che la porta la sentiva, neanche la guardava, quando infilava i suoi gol all’uncinetto. Dries, invece, ragiona, in un baleno ma ragiona, dove mettere la palla, come metterla, come toccarla.
Così ha fatto l’altra sera a Roma. Il pibe, oh il pibe, calciava senza guardare la porta, sicuro e felice del dialogo con la palla che era sempre ubbidiente e sapeva dove andare e come andare, veloce, a volte beffarda, più spesso artistica, vorticando nell’aria prima di carezzare la rete avversaria. Forse è questa la differenza, un genio argentino e un solido ragazzo europeo, nati con l’imprimatur di posti diversi, e poi vite diverse. Diego inviato dal Barba a mostrare meraviglie sul campo, come la punizione contro la Juve che trasformò Tacconi in una statua di sale; il gol di testa e forse già con la mano de Dios, un marchio mondiale, tuffandosi a pelo d’erba contro la Sampdoria sul cross di Renica; la stella filante che beffò Giuliani nella porta del Verona da trenta metri. Dries forse un po’ spigoloso, contenuto, che, però, a Napoli scopre il colore del gol e, allora, chiede al suo piede di dipingere il pallone, come faceva il pibe. E altro non sapremmo dire.Hamsik Pennellate d’autore. Prendiamo Hamsik, il suo gol infinito al Milan, lungo ottanta metri. Il San Paolo in delirio l’11 maggio 2008, il primo campionato di Marek. Gattuso, pressato da Pazienza davanti all’area del Napoli, perde palla. La conquista Hamsik. La porta del Milan è lontana, lontanissima. Marek prende il volo. Porta la palla avanti con leggeri tocchi di destro. Corre e corre. Il San Paolo ha il fiato sospeso. Quasi si sentono i passi veloci di Marek che accarezzano l’erba. Tre del Milan arretrano. Davanti al limite rossonero, Hamsik ha solo Kaladze di fronte. Marek finge di tirare di destro e Kaladze abbocca, apre lo spazio. Hamsik si gira e di destro infila Kalac a fil di palo. Rasoiata elegante che aprì la vittoria azzurra (3-1).
Insigne Quel pallonetto, dopo una fuga a sinistra, nell’angolo alto lontano del portiere sampdoriano Puggioni, nel 4-2 a Marassi nello scorso maggio, resta tra le meraviglie di Lorenzo che scolpisce gol d’autore. Ma, per cazzimma, il gol a Madrid, da trenta metri, col pallone che rimbalzò in area e beffò Keylor Navas è un gol napoletano in tutto e per tutto.
Cavani Si va in Olanda, a Utrecht, 2 dicembre 2010. Nevica, temperatura -6. Girone di Europa League. Il Matador va subito in gol sul lancio di Yebda. Si scatena a sinistra, converge, si allunga la palla, un difensore respinge, la riprende Cavani fuori area, quasi sulla linea di fondo, è un miracolo far gol. Cavani imprime alla palla un effetto incredibile colpendola di destro. Il pallone finisce nell’angolo lontano della porta olandese.
Vinicio Stadio del Vomero, 18 settembre 1955, la prima partita di Vinicio (contro il Torino). Palla al centro. Amadei tocca indietro al mediano Castelli, giocatore finissimo che scocca un lancio di trenta metri per Vinicio già in corsa tra lo stopper Grosso e Bearzot. Luis ha un tiro che sfonda le reti. In corsa calcia di destro ed è subito 1-0. Cronometri affidabili calcolarono in 17 secondi il fulmineo vantaggio del leone.
Altafini Josè, invece, impiegò 35 secondi a Bologna nel match che il Napoli vinse 2-1 il 26 novembre 1967. Palla al centro, Altafini a Juliano, lancio di Totonno, Josè filò per quaranta metri fra quattro bolognesi e batté Vavassori. Però il suo gol più bello fu quello in rovesciata al Torino, un mese dopo al San Paolo.
Pesaola 5 gennaio 1958, contro l’Inter nel primo anno di Angelillo. Rubò la palla al terzino Fongaro e mollò un tiro dalla distanza nell’angolo alto del portiere. Diceva: «Anch’io come Pelè ho segnato mille gol. La rete che infilai a Matteucci divenne la sigla della Domenica Sportiva’ ripetuta mille volte».
Di Canio Il gran gol al Milan col Napoli di Marcello Lippi, 1993-94. Si destreggiò a sinistra, dopo avere dribblato Panucci e Baresi, portò la palla dal sinistro al destro e poi ancora sul sinistro in attesa di vedere un compagno libero per il cross, non ce n’erano e mollò il colpo ad effetto con l’interno del piede sinistro beffando Rossi inutilmente in tuffo.
Bruscolotti Il gol all’Anderlecht, 6 aprile 1977, semifinale di Coppa delle coppe al San Paolo (1-0), 90 mila spettatori. Lanciato da Juliano a destra, Bruscolotti mollò un calcio superiore per potenza ai suoi celebri rinvii e per poco non sfondò la rete del portiere Jan Ruiter infilando la porta nell’angolo opposto.
La Redazione
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