Repubblica – Un mercato da 2,5 miliardi dov’è finito il fair play Uefa?

Cinque club oltre i 100 milioni di spesa e i 222 con cui il Psg sogna Neymar Il peso dei diritti tv e le contraddizioni di un sistema nato per ridurre i debiti

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Cosa resta del Fair Play finanziario se uno sceicco può aggirarlo in quattro e quattr’otto? O se prima ancora che finisca luglio cinque squadre hanno già abbattuto il muro dei 100 milioni spesi sul mercato? Nell’estate da 2,5 miliardi di euro di trasferimenti, il sistema di controllo finanziario con cui l’Uefa sperava di calmierare i debiti del calcio mostra tutti i suoi limiti. A rivelarli è il capriccio Neymar, un vezzo da 222 milioni a cui il Psg non ha ancora rinunciato: nonostante le rassicurazioni di Pique, ‘O Ney non ha deciso davvero se restare al Barcellona. O se accettare la proposta folle degli sceicchi parigini, nata per un motivo preciso: “ripagare” con la stessa moneta il Barça che aveva provato in ogni modo a strappar loro Verratti. Le norme impedirebbero al Psg di chiudere un investimento simile, ma non fanno i conti con la tentacolare proprietà del club. La Qatar Investment Authority sponsorizza il Psg attraverso 4 diverse società (225 mln totali). E non avrebbe avuto problemi a ingaggiare Neymar come testimonial di una delle sue tante ramificazioni aziendali, versandogli in cambio i 222 milioni della clausola rescissoria, per poi portarlo sotto la Tour Eiffel da svincolato. Una strategia che però richiama l’ombra delle famose “terze parti” (il controllo dei giocatori attraverso fondi d’investimento) esplicitamente vietate dalla Fifa. E allora è già pronta l’alternativa: tesserare Neymar con una qualsiasi delle squadre del campionato qatariota – tutte riconducibili allo stato – e ovviamente non sottoposta alle norme dell’Uefa: farle pagare la clausola e poi prestare la star brasiliana al Psg. Un vero schiaffo al sistema di controllo imposto nel 2009 da monsieur Platini. Non certo il primo: il City, che fattura 435 milioni ne ha già spesi 240 sul mercato e paga stipendi per 200 milioni. Ma la Premier – campionato da 4,8 milioni di fatturato – può contare su incassi stellari dalle tv. Diverso il caso del Milan, capace di superare quota 200 milioni di acquisti portando il monte stipendi a 160 milioni, 40 in più di un anno fa, e mettendo a bilancio 40 milioni annui di ammortamenti. «Come farà a evitare la mannaia dell’Uefa?», si chiedono i più zelanti. Facile: Fassone ha già avviato i dialoghi per un “Settlement Agreement” da sottoscrivere con l’Uefa, utile a non incorrere in sanzioni gravi. Proprio questa è la maggiore fragilità del Fair Play finanziario. Da tempo, ogni squadra che sfori i paletti solo apparentemente rigidissimi del FFP, può chiedere un accordo transattivo all’Uefa. Che si siede e tratta. Così Psg e City ridiscussero nel 2014 le sanzioni ricevute, azzerandole. Così hanno fatto Roma e Inter. Di fatto, vuol dire rimodulare ogni volta i termini del Fair Play a seconda delle situazioni, trasformandolo in una calzamaglia da far aderire alle esigenze dei club “indisciplinati” in cambio di qualche buffetto. Che il sistema scricchioli se ne è accorto anche il n.1 Uefa, Ceferin, che propone nuove soluzioni come il tetto agli stipendi. I grandi club chiedono però libertà di investimenti sul mercato. Il sistema di controllo era nato per ridurre i debiti dei club (-80% in 8 anni). Da oggi il rischio è di ottenere esattamente l’effetto opposto.

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Fonte: Repubblica

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