Il Mattino – S. Bagni: “Perchè solo Maradona?”

L'ex centrocampista dell'87: "Avremmo meritato tutti una festa il 5 Luglio, io sarei andato gratis"

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«Anche Sola avrebbe diritto alla cittadinanza onoraria, come tutti noi del resto. Non è giusto concederla soltanto a Diego». Chi ha discreta memoria degli anni d’oro del Napoli, ricorderà bene che accanto a campioni illustri ci fossero anche i cosiddetti portatori d’acqua, quelli che per Maradona garantivano il lavoro sporco. Salvatore Bagni non dimentica il contributo offerto dalle seconde linee nell’anno di grazia 1987, quello del primo tricolore napoletano.
«C’erano Sola, Bigliardi che avevamo soprannominato Billy il lupo, Carannante, Caffarelli, Celestini che trascorse quasi tutta la stagione in infermeria, ognuno portò il suo personale mattoncino per costruire il nostro sogno».

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Maradona era Maradona d’accordo, ma l’anima di quella squadra si chiamava Salvatore Bagni. «Mi sentivo parte integrante di quel gruppo. L’amicizia ci portò a vincere lo scudetto ed eravamo tutti veri amici».

Qui ritorniamo al discorso di Sola. «Il buon Luciano se lo ricordano solo pochi tifosi di quella generazione. Eppure giocò titolare nella prima partita del Napoli in coppa dei Campioni, quella nel Bernabeu a porte chiuse contro il Real Madrid».

Il punto è: cittadinanza onoraria un premio per tutti non soltanto per uno. «Esatto. Qual è il principio che ha ispirato un gesto simile da parte del Comune di Napoli? Mica la beatificazione di Diego? Si è fatto coincidere questo evento con i trent’anni del primo scudetto, giusto? E allora si faccia presente che fu tutta la squadra a raggiungere quel traguardo».

Maradona comandava in campo e Bagni nello spogliatoio. «Ripeto, eravamo un gruppo di amici che si ritrovava ogni giorno sul campo di allenamento di Soccavo con grande allegria e voglia di vincere. Io giocai particolarmente bene quell’anno, lo riconosco, ero nel momento migliore della carriera dopo le esperienze nel Perugia e nell’Inter. Ma vi assicuro che fu la compattezza tra di noi a farci tagliare il traguardo per primi».

A pensarci bene, non è stata mai celebrata degnamente quella vittoria. «Ci siamo rimasti mali un po’ tutti. Per una vita si è detto e si è scritto che abbiamo fatto la storia del club e della città, però un vero riconoscimento non lo abbiamo mai ricevuto. Trent’anni fa ci soprannominarono i prìncipi di Napoli, con il passar del tempo si è persa la memoria».

Questa poteva essere l’occasione propizia. «Non è mai troppo tardi. Dieci anni dopo, o venti, o anche trenta non fa differenza. Ci voleva un segno tangibile, conferire la cittadinanza onoraria è un’ottima iniziativa, darla però soltanto a uno di noi è una pessima idea».

Anche se quel qualcuno si chiama Maradona. «Non ho niente contro Diego, ci mancherebbe. Gli voglio bene e sicuramente la merita più di tutti ma anche gli altri compagni hanno lavorato e sudato per regalare alla città una vittoria storica».

Bagni, lei cosa avrebbe fatto? Avrebbe rifiutato? «Certo. Avrei detto: o a tutta la squadra o a nessuno».

C’è rimasto male? «Abbastanza».

Gran parte di Napoli pensa che non sia giusto conferire una cittadinanza onoraria a pagamento. «Non entro nel merito di una questione che non mi riguarda. Guardo alla sostanza: con noi in campo le partite non finivano zero a zero. Il calcio è un gioco di squadra, non lo dimentichiamo».

Quindi se il Comune avesse premiato tutti, vi avrebbero dovuto pagare. «No, sarei venuto gratis e a spese mie».

Diciamo allora che tira solo il nome di Maradona. Non è bello ma probabilmente è così. «Oggi non si celebra quella vittoria ma il suo campione più carismatico. Del resto, basta vedere come è naufragata l’idea che Bruscolotti aveva portato avanti il 10 maggio. Hanno addirittura chiuso i cancelli del San Paolo. Con un programma serio e ben organizzato, avremmo meritato una grande festa».

Quale fu la svolta in quel mitico campionato dell’87? «Troppo facile la risposta. La vittoria di Torino in casa della Juventus. Eravamo a novembre, primi a pari punti noi e i bianconeri, vincemmo tre a uno e lo scontro diretto ci dette la consapevolezza di essere forti abbastanza e maturi per vincere finalmente il campionato. Infatti da quella domenica non mollammo più la testa della classifica».

Non considera eccessivo il fatto che una piazza come Napoli debba attendere trent’anni per conquistare uno scudetto?  «Sì, oggi però più di allora il calcio è programmazione e la Juventus ne è l’esempio più evidente. Non si vince per grazia ricevuta, occorre essere lungimiranti e avere solide basi economiche, oltre che tecniche ovviamente».

Il vostro scudetto fu un miracolo? «No, anzi. La logica conseguenza di un progetto nato due anni prima, quando Ferlaino chiamò a lavorare in società Italo Allodi, il miglior architetto del calcio italiano. C’era Diego, è vero, ma intorno a lui giravano una squadra e un club altamente competitivi».

Pochi due scudetti in sette anni di Maradona? «Si poteva fare di più».

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