Nando De Napoli: “NOI SIAMO STATI LA VERA STORIA”
. Si può vivere da mediano, ed in che modo, se vieni catapultato nella Storia del Napoli…
De Napoli, nel suo 10 maggio 1987 cosa c’è? «La mia esperienza, dal primo giorno in poi, da quando scelsi cosa avrei fatto da grande: ho ben impresso le fasi del mercato di quell’epoca, nel 1986, dunque un anno prima, quando approdai al Napoli».
Arrivava dalla provincia, Chiusano san Domenico. «E dovetti decidere in fretta e nella confusione che può provare un ragazzo di ventidue anni. All’epoca, senza cellulari, ti chiamavano in casa e io ad ogni telefonata sospettavo che fossi al centro di uno scherzo: arrivavano offerte dalla Juventus, dal Milan, dall’Inter, poi dalla Sampdoria. Non ci credevo, fino a quando non ricevevo prove. Ma volli il Napoli e fu scelta migliore, perché siamo entrati nella Storia e ci rimarremo per l’eternità. Siamo stati i primi e quindi siamo unici».
Dica qualcosa che non ha mai detto... «Che ho letto la gioia negli occhi della gente come non mi è mai più accaduto. Che ho visto una città posseduta dalla felicità come non mi capiterà mai più. Che c’è una data e varrà per sempre».
Che squadra, quella squadra. «Dieci grandi calciatori e poi il Padre Eterno. Noi avevamo Diego, gli altri no. Ma eravamo anche forti di nostro, e lo dico senza immodestia, perché c’era un bel gruppo che viaggiava in Nazionale ed altri che lo avrebbero fatto e qualcuno che lo avrebbe meritato. Non mi sembra ci fosse un difetto e lo scudetto ne è la testimonianza: non arrivi ad un traguardo del genere se non hai caparbietà, talento, carattere, fame. Non ci mancava niente, neanche l’allegria d’uno spogliatoio sempre su di giri».
Si faccia una domanda. «Mi sono sempre chiesto, e non ho mai trovato la risposta giusta, se fosse più forte il Napoli del primo scudetto o quello del secondo, nel quale, tanto per dire, c’erano Alemao e Careca. Io adesso sento parlare tanto di progetto, di pianificazione: e perché quella cos’era? Ma poi ci rido sopra e mi prendo in giro da solo: Nando, ma chi te lo fare? Perché mettersi a perdere tempo su un dettaglio del genere».
Lei c’era sempre. «E tanti napoletani, anzi meridionali. Lo scudetto dei terroni, direbbe amabilmente qualcuno. Fu la rivincita di quel tempo, e non la butto in altri campi: ma eravamo fieri di noi stessi, di quel club, della nostre origini. E’ stato un bel vivere».
Un rimpianto. «Non essere durati a lungo, come avremmo potuto. Quel Napoli lì avrebbe dovuto aprire un ciclo di vittorie, ne aveva la capacità e la forza. Però succede spesso così, quando trionfano gli altri, e parlo di Napoli, di Roma, di Lazio: la Juventus si sveglia, il Milan e l’Inter si rialzano e si precipita nel buio».
Un limite di quella squadra? «Forse una panchina corta, ma sia chiaro con questo non intende di mancare di rispetto a nessuno».
Un uomo che non è stato celebrato abbastanza? «Quello era il Napoli di Maradona, giustamente. Ma chi ci ha aiutato a crescere, a diventare importanti, è stato Italo Allodi: un mostro di efficienza e di competenza. E poi voglio sottolineare i meriti di Ottavio Bianchi e di Pier Paolo Marino. E complimenti a chi li scelse: Corrado Ferlaino».
Gli scudetti si vincono anche fuori dal campo. «Fu costruito un modello di società in grado di sostenere le ambizioni di un gruppo di assoluto valore. Io non so se oggi vinceremmo lo scudetto, so che negli undici titolari ce la giocheremmo con la Juventus. Però è chiaro che sono cambiati i tempi e certi paragoni non hanno neanche ragione di esistere».
Quando nasce il 10 maggio 1987? «Negli anni, quelli che precedettero il nostro trionfo. Ma poi, in campo, e questo ve lo dirà chiunque di noi venga ascoltato, a Torino: in una sola partita, facemmo il pieno di energia per una stagione intera, capimmo – ed in maniera netta – che eravamo i favoriti per cifra tecnica e caratteriale. Andammo a vincere con una autorevolezza di cui non eravamo consapevole e da quella partita nulla ci fece più paura».
Fu un sogno lungo o breve, ripensandoci nei dettagli? «E’ vero che ci prendemmo anche la coppa Italia, è vero che poi arrivarono la coppa Uefa e il secondo scudetto e la Supercoppa ma io, invecchiando, ho immaginato che quel Napoli avrebbe potuto diventare il dominatore della scena nazionale. Maradona era nostro, il più grande di tutti i tempi. Però è andata così e non è giusto neanche contorcersi. Mi ritengo fortunato, sono qua a raccontarla ancora e chissà quante altre volte mi toccherà emozionarmi, perché quelle scene non si dimenticano».
Nelle sue memoria, il 10 maggio è? «Tante cose assieme, non tutto. Perché la vita poi è anche altro e quel successo non dico che me l’abbia cambiata ma non nego che me l’abbia arricchita, umanamente. Io porterò con me quelle sensazioni che sono e restano irripetibili: ad esempio, io con il secondo scudetto ho avvertito chiaramente emozioni fortissime, eppure di impatto nettamente inferiori al primo. Forse furono le modalità, o forse c’è semplicemente una differenza netta e sostanziale: il 10 maggio del 1987 noi abbiamo colmato un vuoto, abbiamo regalato qualcosa di inedito».
Fonte: CdS