Ciò che resta del Real Madrid è quel senso d’eguaglianza che s’è sparso per un periodo – e neanche breve – in centottanta minuti: la capacità d’essere squadra, d’essere Napoli, di non aver paura (anzi), di potersi permettere qualsiasi cosa, persino di rimanere audacemente se stesso. Quel che resta del Napoli, dopo aver provato a sgretolare il Real Madrid, è la certezza di avere varie qualità, tra cui il gioco, di essere in possesso di un Capitale Umano di rilevante valore – e non solo tecnico – di potersi migliorare ancora, nel tempo, per rimanere con fierezza nell’esclusivo club delle Grandi d’Europa: è un processo costante, continuo (da Lavezzi a Cavani a Higuain ora ai Rog, ai Milik, agli Zielinski) inarrestabile che non conosce soste e che mira, attraverso tre «colpi»- un esterno basso (Conti?), un centrocampista (Klaassen) e un attaccante laterale (Traoré) – di rinnovarsi ancora. Quel che suggerisce questo settennato, in cui nel Vecchio Continente il Napoli ha girato eccome, è la padronanza d’un club e della squadra a rompere gli schemi, ad uscire dalla banalità ordinaria, ad essere complessivamente «diversi» sia nell’espressione della propria Filosofia aziendale sia ormai in quella squisitamente tattica: esiste una sola anima, che arriva dall’inevitabile fusione tra l’area societaria e quella tecnica, dalla quale esplode la sublimazione dell’Idea. La rivoluzione di (e del) Napoli di De Laurentiis è nella sua stabilità ad occupare un ruolo in quest’elite – sia essa la Champions o l’Europa League o la serie A – ed ad afferrar una posizione di privilegio assoluto conquistata attraverso scelte anche difficili, mai scontate. C’è un messaggio che la Champions League ha (ri)lanciato e che ormai da un bel po’ sembra che in maniera diretta arrivi dal cuore del calcio, il campo: il Napoli è una ventata di freschezza, di gioiosa interpretazione, nel suo piccolo (piccolo?) un modello.
Fonte: CdS