Ciccio Marolda ricorda il presidente Fiore: “Don Roberto non c’è più, ma un presidente appassionato come lui il Napoli non lo può dimenticare”

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La morte del presidente della Juve Stabia, ed ex presidente del Napoli, Roberto Fiore, ha lasciato una grande tristezza, e tantissimi lo ricordano con affetto. Ciccio Marolda, scrive sul Corriere dello Sport: Novant’anni e più vissuti con la curiosità dell’uomo intelligente e con il coraggio di chi non ha avuto mai paura delle sfide. Anche di quelle grandi. Roberto Fiore, il presidente, se n’è andato. E con la tristezza, la prima cosa che ti viene in mente è che se avesse potuto, se ne avesse avuto la possibilità e ancora un po’ di forza, questa storia del Napoli di oggi, un poco sbrindellato e un poco contrastato, lui l’avrebbe risolta a modo suo: rammentando a tutti che il Napoli è, sì, proprietà di uno, ma è patrimonio della città e della gente. Perché don Roberto per tutta la vita è stato imprenditore ma anche tifoso, presidente ma anche sportivo trasparente e rispettoso dei sentimenti che lo sport muove. Il Napoli nel cuore, ovvio. Ma anche la pallanuoto con il suo Posillipo campione e la Juve Stabia e l’Ischia, mentre il Portici lo sfiorò soltanto a metà degli anni Settanta, quando un giovane cronista andò ad offrirglielo nella sua fabbrica a San Giovanni. Non se ne fece nulla, ma un po’ ci rimase male il presidente che a Portici era nato il 2 ottobre nel 1924. A Bellavista, per la precisione. Oggi è nato un bambino fortunato, disse l’ostetrica presentandolo ai suoi genitori. Era nato con la “camicia”, infatti, Robertino, poi ragazzino terribile che sganciava le carrozze dei tram rischiando di combinare dei disastri e che per questo finì pure in collegio. Una vita da raccontare e raccontata anche con divertimento. Ma per i napoletani don Roberto è stato e sarà soprattutto il presidente che portò a Napoli Sivori e Altafini in una formazione già ricca di Juliano e Montefusco, di Canè e di Bean, di Panzanato e di Bandoni. Fiore, che avrebbe voluto ingaggiare anche Pelè, si presentò nella sede del Milan e chiese Trapattoni a Gipo Viani, allora direttore generale rossonero. Gli disse che non era in vendita, che ma che se avesse voluto avrebbe potuto prendere Altafini per 300 milioni. «Affare fatto», fu la risposta, mentre nella sua mente c’era già il disegno per un altro colpo: Omar Sivori. Anche La Juve voleva trecento milioni, ma l’intervento del Comandante Lauro fece scendere le pretese bianconere sino a 100. Mentre Roberto Fiore, presidente dal ‘64 al ‘67, dovette combattere non poco con El Cabezon che pretendeva 50 milioni l’anno, una villa a Posillipo e un’auto di lusso con autista. Storie, aneddoti, piccoli segreti legati anche alla sua breve esperienza con la Lazio di Lenzini, che il presidente ha raccontato volentieri cento, mille volte accarezzando quel calcio d’altri tempi. Ma anche il Napoli più recente gli è stato familiare. Il 5 luglio del ‘99 fu proprio lui, infatti, a presentare a Napoli, in un affollatissimo incontro, Aurelio De Laurentiis che dettò la sua proposta d’acquisto della società. Proposta un po’ singolare che manco fu degnata d’uno sguardo dalla proprietà d’allora e, infatti, non se ne fece nulla. Ma aveva avuto vista lunga pure allora, don Roberto Fiore. Perché con De Laurentiis il Napoli avrebbe evitato lo schiaffo del fallimento e sarebbe arrivato in mani affidabili cinque anni prima. Fu quello, forse, l’ultimo regalo non capito e rifiutato del vecchio presidente alla sua vecchia squadra. Oggi don Roberto non c’è più, ma un presidente appassionato come lui il Napoli non lo può dimenticare”.

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