Lui, l’altro Pipita. Venti gol, come il «miglior» Gonzalo, ma senza averne, tatticamente, la tendenza e la vocazione. Ultimamente in ombra, ma resta quell’enormità, una valanga azzurra scatenata dal cosiddetto «falso nueve» che poi falso non è affatto. In sintesi non segna da duecentocinquantotto minuti, ch’è la somma dell’astinenza delle sue ultime partite giocate; e stasera, quando incrocerà il suo partner, l’uomo per il quale s’è speso in tre anni in una serie di assist, saranno complessivamente ventiquattro giorni. E nonostante tutto, siamo su medie da attaccante d’altri tempi, d’un cecchino quasi implacabile, come può esserlo chi segna ogni centosei minuti. Oggi Mertens ha scoperto che ci sono i momenti, nella vita di chiunque, in cui la traiettoria del pallone sa prendersi beffa di te: a Madrid, come sabato contro l’Atalanta. La nuova vita di Dries Mertens comincia con la Roma, quando si inabissa Gabbiadini e Sarri gli chiede di inventarsi un’altra esistenza: entra in punta di piedi e comincia a rodare. Con Higuain s’è divertito, eccome: si annusavano a distanza, uno a sinistra e l’altro in mezzo, non erano mai entrati in contrapposizione, né in sovrapposizione: nessuno sapeva che in quel Napoli si nascondevano un pipita e uno simile, un omologo o qualcosa che gli somigliasse, magari in piccolo, come in una matrioska…