Veltroni: “In fondo, il Napoli ha perso fuori casa, con il Real Madrid, per 1,5 a 0”

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Ecco come la pensa Veltroni:

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“In fondo, il Napoli ha perso fuori casa, con il Real Madrid, per 1,5 a 0. Quel gol di Insigne, colpo di genio di un folletto napoletano, ha segnato l’esito della partita, aprendo la possibilità che la partita di ritorno sia un match vero, aperto, possibile. D’altra parte la squadra di Sarri aveva di fronte una, forse “la”, squadra più forte del mondo. Bale era infortunato e in campo c’era la sua riserva, un giovanotto chiamato James Rodriguez. È uscito Benzema, fortissimo, ed è entrato Alvaro Morata. A centrocampo il Real schiera un genio del calcio come Modric. Potrei continuare. È il Real, un nome mitico per il calcio. Nell’anticamera della tribuna campeggiano, stilizzate, tutte le coppe internazionali che ha vinto, una parete intera. Su un muro sono allineate le fotografie delle varie formazioni. Il mio sguardo si è fissato su quella dell’inizio degli Anni Sessanta. Questo era l’attacco: Canario, Del Sol, Di Stefano, Puskas, Gento. Fenomeni, ai quali sarebbero seguiti Zoco, Sanchis, Butragueno, Raul… Entrando in quello stadio si sente il profumo di quelle vittorie, si avverte il senso di una storia vincente. La sera prima della partita abbiamo avuto la fortuna di calpestare il prato del Santiago Bernabeu. Spalti vuoti, luci che illuminavano un prato soffice e perfetto come un velluto. Una sensazione magica, che certo sarà piaciuta a Paolo Sorrentino e al suo sguardo prensile. Eravamo lì con lui, con Silvio Orlando – il mitico Voiello, cardinale pazzo del Napoli in “The Young Pope” – e con il produttore della stessa serie, Nicola Giuliano. Per loro il Napoli, come si vede nei film di Paolo, è non solo l’oggetto di un tifo pieno di passione e sincerità ma qualcosa di più: uno stimolo poetico, un motivo di identità, un sentimento.  

Il calcio, certamente, fa tornare bambini, esalta il senso ludico della vita. Ma è di più. Lo pensavo guardando le migliaia di napoletani che hanno seguito la squadra fino a Madrid, magari restando fuori dallo stadio, ma spinti dal desiderio di sentire fisicamente vicino l’oggetto del loro amore. Tutti noi,“pazzi per il football”, sentiamo il calcio, ne conosciamo storia, episodi, statistiche, nomi. Quando siamo saliti dalle scalette sul campo, martedì sera, il mio primo pensiero è andato a quella che per me rimane la più bella impresa sportiva che abbia vissuto: la vittoria dei Mondiali del 1982. Eravamo lungo la linea che Tardelli ha attraversato urlando, vicino alla porta violata da Rossi e Altobelli, forse stavamo calpestando la mattonella d’erba su cui Bruno Conti cadde, felice e spossato, in ginocchio. Gli stadi sono contenitori di storia e vissuto, sono Madeleines della vita che abbiamo attraversato. Come non pensarlo vedendo Diego Maradona su quegli spalti, a poca distanza dagli sguardi,meravigliosamente uguali, di Paolo Sorrentino, maestro del cinema e Premio Oscar, e di suo figlio Carlo, terza media, grande esperto di calcio e lettore di libri? Quei quattro occhi puntati sull’icona vivente della magica follia del football erano il manifesto del calcio, nella sua essenza fondamentale.  

In quella partita c’era tutta la magnifica fatica del Napoli, ripartito con De Laurentiis dalla serie C e ora sbarcato, giustamente temuto, a competere per gli ottavi di Champions. Loro sono fortissimi e quasi tutti gli umani hanno lasciato su quel prato di velluto tre punti e il buonumore. Il Napoli ha fatto un gol importante e non ha preso certo l’imbarcata subita in questo turno di Champions dal Barcellona e dall’Arsenal. Ha un gioco bello, il Napoli, inventato da quello scienziato del calcio che è il suo allenatore. Maurizio Sarri non è stato come Zidane, il numero dieci del Real, prima di diventarne allenatore. Sarri ha faticato sui campi nei quali la polvere è più del prato, gli spogliatoi sono più freddi dell’esterno. Passo dopo passo, con lo studio e la fatica, doti tutte italiane, è arrivato a giocarsela con grande onore col Real Madrid, mica pizza e fichi.  
Dunque, Napoli e il Napoli hanno ragione di orgoglio e di speranza. Giocheranno, al San Paolo, contro i più blasonati del mondo. Non devono dimenticare che il calcio è magico. Anche in Spagna, prima della notte del Bernabeu, tutti davano come perduta miseramente la sfida tra l’Italia, che aveva faticato nel girone con Camerun e Perù, con l’Argentina di Maradona o il Brasile di Zico, Falcao, Socrates. Invece su quella tribuna, nella quale eravamo seduti mercoledì, furono le maglie azzurre a sollevare al cielo la coppa più bella. In bocca al lupo, Napoli”. 

 

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