De Laurentiis a Il Mattino: “Il nuovo stadio a Bagnoli: non è il San Paolo la soluzione finale. Sarri è un allenatore “speciale”
E se la cazzimma mancasse, come è già accaduto, a un passo dal traguardo? Se il Napoli di De Laurentiis si confermasse buono per illudere?
“Andiamoci piano. Se da sette anni siamo in Europa e il nostro ranking è passato dal 550esimo posto al 16esimo vuol dire che siamo una realtà, e non un’illusione. Quando nel 69 Ferlaino prese la società, impiegò 18 anni per vincere il primo scudetto. Io ne sono presidente da 12. Vuol dire che ho ancora margine per fare meglio, considerando anche che i tempi sono cambiati, e che vincere è diventato più complicato. Però, se guardo agli ultimi sette anni, vedo un crescendo continuo e mi convinco di due cose: che qualche scelta l’ho azzeccata e che, quanto meno secondo ciò che è logico prevedere, siamo destinati a salire ancora”.
Mazzarri, Benitez e Sarri, tre gradini diversi per una sola scala. Come se li rappresenta oggi? “Mazzarri è stato bravo a portarci in Champions con un monte stipendi che era la metà di quello attuale. Benitez è stato abile nel selezionare talenti pur rimanendo nel budget di quanto si poteva allora spendere. Sarri è quello che si dice uno scienziato del calcio. Se penso oggi che, quando l’ho preso, alcuni gruppi delle curve, per fortuna non tutti, mi hanno contestato con gli striscioni allo stadio, mi viene da ridere”.
Lo difese contro l’evidenza dei primi incerti risultati. Che cosa le diceva che era la scelta giusta? “Intuii subito che era un allenatore speciale. Anzitutto perché è innamorato perso del calcio, ma dico del calcio bello. Quello che ti porta con sfrontatezza a vincere, divertendo i tuoi fan. Poi è un grande studioso, insegue un’esattezza che direi scientifica. Non ho mai visto un tecnico così attento sul campo di allenamento e così meticoloso nel rapporto con i calciatori. Per questo non brucia mai un nuovo acquisto. Se il Napoli avesse comprato Gagliardini, lui non lo avrebbe mai fatto entrare da subito, come invece ha fatto l’Inter”.
Però, contro il Real, Sarri sembra intenzionato a osare con i due giovani Zielinski e Diawara. “Sembra, ma non sappiamo se alla fine giocheranno”.
Vuol dire che non le ha detto la formazione? “Se insistessi me la direbbe. Ma in un momento di tensione come quello che precede una partita storica non voglio fargli una domanda di cui poi potrei pentirmi”.
Ma lei ce l’ha una formazione ideale? “Sì, ma io la penso in maniera diversa da tutti gli allenatori che ho avuto e che avrò. Perché sono abituato alla massima del coraggio, che recita così: chi non risica non rosica. Io rischierei sempre. Ma per rischiare devi dividere la partita in due. Significa che tu devi poter convincere i calciatori che la sostituzione non è una punizione. Significa giocare con i cambi già fatti nello spogliatoio durante l’intervallo”.
Però forse questa sua convinzione alla lunga è riuscito a trasmetterla a Sarri, non le pare? “Non lo so, io non discuto le sue scelte, né voglio avere la responsabilità di condizionarlo. Meno che mai in queste ore. L’ho scelto e dico: a ciascuno il proprio mestiere. Alla fine della stagione con grande serenità verificheremo qualche eventuale errore, se ci sarà stato, e ci convinceremo a cambiare qualche modalità di impiego dei giocatori nel campionato successivo. Ma questo deve nascere da una relazione dialettica, non da un’imposizione”.
Però l’anno scorso e anche quest’anno, all’inizio del campionato, qualche suo suggerimento è parso prefigurare un dissenso tra due personalità forti. È stato il tempo, o piuttosto sono stati i risultati, a smussare gli angoli? “Dissenso no. All’inizio non ci conoscevamo bene, il tempo ci ha aiutato a capirci e a condividere la grande responsabilità che abbiamo, cioè il Napoli. Che adesso più di prima è chiamato a vincere, anche perché negli ultimi due anni abbiamo alzato l’asticella della qualità, rompendo alcuni equilibri economici”.
Sono cresciuti gli ingaggi? “Gli ingaggi sono cambiati, ma non solo. Adesso, con Leandrinho e Zerbin, abbiamo una rosa di 26 giocatori”.
E vuole ingaggiare anche Maradona? O era solo un’offerta per così dire di circostanza? “No, a Maradona ho offerto il ruolo di ambasciatore del Napoli nella prospettiva di aprire accademie azzurre nel mondo. Aspetto di sapere che cosa deciderà, anche alla luce del nuovo ruolo che gli ha attribuito la Fifa. Stiamo discutendo, chi vivrà vedrà”.
De Laurentiis, ma lei pensa davvero di vincere in Europa con quello stadio che si ritrova? “Purtroppo, a differenza di quanto accade in Spagna, in Germania e nel Regno Unito, in Italia la crescita del calcio è ostacolata da certe leggi figlie del menefreghismo e della cecità dei politici. Che un po’ per ignoranza un po’ per populismo fingono di non capire quanto sia importante e formativo questo sport per i giovani. Così, prima si immagina una legge per creare impianti sportivi e per proteggere l’equilibrio economico e finanziario delle società, e poi la si stravolge per fare un dispetto a Lotito e alla Sensi, con la finta giustificazione di voler evitare speculazioni edilizie. Come se durante un periodo di stagnazione, come quello che ancora attraversiamo, ci fossero voglia e interesse a investire nel mattone”.
Ma quando dice populismo pensa a Roma, a Napoli, o a tutti e due? “A Napoli devo aspettare che maturino certe opportunità per decidere se trasformare il San Paolo in uno stadio modello, con tutti gli ostacoli burocratici che ne deriverebbero, o se invece costruire un nuovo impianto, per esempio a Bagnoli, una volta effettuata la bonifica”.
Ma l’autorizzazione a costruire a Bagnoli chi gliela dà? La cabina di regia? O l’amministrazione De Magistris e i movimenti che le stanno attorno? “Su Bagnoli c’è solo il problema di procedere alla bonifica. Certo, con la caduta di Renzi, tutto si è rallentato. Ma io spero che…”.
Che Renzi torni? “Che si trovi una soluzione in quell’area. Altrimenti dovremo trovare un altro spazio. Ma una cosa è certa: non è il San Paolo la soluzione finale”.
Non può che far piacere questa affermazione. Ma dica, ha cambiato idea? “Il San Paolo ha una copertura che andrebbe eliminata e portata a smaltimento. Poi ha il problema di vincoli architettonici e, da ultimo, una viabilità intorno difficilmente modificabile. Ci sono palazzi che potrebbero soffrire di inquinamento acustico e statico per le vibrazioni. Qualcuno, in maniera un po’ superficiale, mi ha chiesto: ma non potresti abbatterlo e ricostruirne un altro più moderno? È un’ipotesi suggestiva, ma dove giocherebbe il Napoli, una volta demolito il San Paolo, e in attesa del nuovo impianto? Già sarebbe alquanto complesso trasformarlo mentre si gioca, figuriamoci sostituirlo con uno nuovo”.
E quindi “Quindi, dopo aver offerto un finanziamento di 35 milioni, più altri 40 milioni per costruire spazi commerciali, devo ringraziare il sindaco e il consiglio comunale di avere bocciato la mia proposta. Avrei buttato tutti questi soldi senza fare crescere più di tanto il Calcio Napoli. Però sa qual è la cosa che mi dà fastidio? Che la gente creda che il San Paolo sia mio. E che il fatto che non venga manutenuto dipenda da me. Invece ho investito svariati milioni in questo stadio, e ancora devo riaverli indietro. Ma oggi, tra l’altro, mi è impedito di investire ulteriore denaro in ristrutturazioni che, com’è noto, competono al Comune”.
Ma il Comune non ha ottenuto un mutuo di 25 milioni dal credito sportivo? “Dubito fortemente che quelle somme serviranno a cambiare il San Paolo”.
Converrà che di tempo se n’è perduto molto, e nel frattempo lo stadio è in un degrado inaccettabile. “Sì, convengo. E per non farci sottrarre dalle squadre del centro-nord i nostri giovani talenti, stiamo progettando di fare nei prossimi 24 mesi una nuova casa del Napoli per il reparto giovanile, con otto campi di calcio, palestre, piscina, alberghi e scuola. Magari riusciremo a tenerci i ragazzi migliori. In attesa che qualcosa nel Paese cambi e il nuovo ministro per lo sport, che finalmente c’è, progetti una legge credibile per finanziare i nuovi impianti”.
Ha fiducia nell’Italia? “Ho pensato che Renzi, Delrio, Franceschini e Calenda fossero un quartetto in grado di cambiarla. Ora penso che perdiamo troppo tempo e rischiamo di affondare economicamente. Perché, vede, in Italia, e ormai anche in Europa, si fa più politica che economia. E la politica spesso è inconcludente. Se avessimo fatto gli Stati Uniti d’Europa venticinque anni fa, copiando la costituzione americana, avendo un unico esercito e un’unica politica fiscale, una scuola inglese per tutti e lingue nazionali per difendere una quota di identità e tradizione, oggi domineremmo il mondo”.
E magari avremmo un unico campionato di calcio? “Certo, il più bel campionato di calcio del mondo”.
Ma intanto c’è il Real. E lei che gli va incontro sulla rotta di Madrid con una pattuglia di amici vip. “Ho invitato Walter Veltroni, che è stato un allievo di mio padre, e oggi fa delle bellissime interviste di sport. E poi c’è Paolo Sorrentino, un amico del Napoli”.
Sta tentando la formula dell’Oscar per il calcio? “No, Sorrentino è un tifoso sfegatato. E così pure Silvio Orlando. Questa è una partita epocale. E loro sono gli amici giusti per vederla insieme”.
Dica la verità, si sentirebbe più tranquillo se Cristiano Ronaldo vestisse la maglia azzurra? Magari tra qualche anno, in un campionato europeo, se la sua quotazione scendesse… “E che ci faccio tra un po’ di anni con Cristiano Ronaldo? Il brodo di gallina? Io investirò sui diciottenni. E vincerò con loro”.
De Laurentiis pronuncia queste parole mentre scende dall’autobus, che ha condotto la comitiva azzurra in albergo, tra due file di ragazzi e di bandiere. Al tramonto, per le strade di Madrid migliaia di tifosi napoletani vagano senza meta. Sciamano inquieti per la Porta del Sol, infilano l’ingresso di musei e gallerie, sgranano gli occhi davanti a Picasso o Velázquez. Nessuno di loro può spiegare ciò che sente, mentre avanza in ordine sparso verso il gigantesco ovale dove tutto stasera si decide, piantato con la maestà del calcio regale sul pianoro roccioso di questa capitale imperiale. Un intreccio di pensieri inesprimibili gorgoglia dentro ciascuno. È un fiato di vita, avvolto in un’esitazione lunga trent’anni, dall’ultima volta che… No, ricordare farebbe quest’attesa insostenibile. Proprio ora che, finalmente, sembra che di essa ci si possa liberare. Perché stasera qualcosa accadrà. Costi quel che costi.
Fonte: Il Mattino