Sul campo dell’Arci Scampia oggi si alternano cinquecento bambini, proprio nel cuore del quartiere più difficile della città: «Il giorno del primo allenamento, trent’anni fa, in tutto riuscii a portarne sette. Avevo stampato migliaia di volantini, speravo di portare qui a giocare gratuitamente tutti i bambini della zona. Vennero solo i figli dei miei amici più stretti», Antonio Piccolo ricorda con nostalgia quel giorni di trent’anni fa. Anche lui ha deciso che i ragazzi andavano sottratti alla strada, pure lui s’è intestardito ed è andato avanti. Oggi tutti vanno fieri di Armando Izzo che è arrivato in serie A e s’è pure tatuato le vele di Scampia sulle gambe per mostrare al mondo dorato del pallone d’essere fiero delle sue origini: «Sapete come facciamo a catturare i ragazzini? Gli spieghiamo che la nostra scuola li renderà tecnicamente fortissimi come calciatori, ed è anche vero. Poi una volta entrati in questo campetto sono loro stessi a capire che qui si sta bene, che le regole sono importanti, che il rispetto è fondamentale». Ma basta questo per salvare i ragazzi a rischio? Antonio s’incupisce: «Ne abbiamo visti tanti andare via di qui e perdersi, ma se ci arrendiamo è la fine. Preferiamo pensare a tutti quei bimbi che adesso sono uomini e tornano per dirci che qui sono stati bene. Tornano da professori universitari, professionisti affermati, papà felici: ricordano che su questi campetti c’è stata la svolta della loro vita». E allora pensi che sì, che forse una ricetta per salvare i giovani dal richiamo della strada c’è. E pensi che la missione di certe maestre delle elementari che ogni mattina prima di andare a scuola passano, casa per casa, a prendere i bambini dalle mamme riottose, è determinante. Capisci che anche la scuola è determinante: «Certe volte anche mantenere un segreto fa capire ai ragazzi che tu stai dalla loro parte, che possono fidarsi di te». (Il Mattino)
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