Il Mattino – Mertens: “Devo tanto a Sarri, è il top. In Belgio giocavo per strada. Il Real? Non ci fa paura”
Bisogna passare tra i suoi sorrisi disincantati. E nel suo schema preferito: piccole smorfie, sospiri, pause, la finta di pensarci su prima di dare risposte mai banali. Bella faccia, quella di Dries Mertens: un po’ ragazzino, un po’ sornione. Autoironico, non male per uno che da questa terra è stato adottato.
Uno che la sa lunga, sia chiaro. Uno che a dicembre, in 4 partite, ha segnato 9 gol. E che sogna di vincere la classifica dei cannonieri della serie A. «Sarei un bugiardo se dicessi il contrario…».
Mertens, quali sono i tre desideri da realizzare nel 2017? «Il primo è che le cose continuino ad andare come stanno andando, ovvero che io possa fare ancora tanti gol per il Napoli».
Il secondo e il terzo? «Vincere qualche trofeo con la mia squadra. E poi essere felice».
Obiettivo non di poco conto: qual è la sua ricetta per la felicità? «La si raggiunge fuori dal calcio, vedendo le persone stare bene. Perché se la gente sta male, sto male anche io».
Si può dire che nel 2016 è cambiata la sua dimensione di calciatore? «Sarà vero per gli altri, forse. Ma per me no perché sapevo quello che potevo fare, conoscevo il mio valore. Magari i gol che ho fatto hanno dato un’altra percezione di me, perché con i gol hai tutti gli occhi puntati addosso. Ma io credo di aver fatto sempre bene con il Napoli, anche quando non segnavo così tanto».
Come spiega la sua consacrazione personale a quasi 30 anni? «Per me non è cambiato molto, è successo solo che ho fatto tre gol a Cagliari e quattro al Torino, e sono stato decisivo anche in Champions».
Per chi tifava da bambino? «Mai avuto una squadra del cuore. Io giocavo a calcio, pensavo a fare solo quello. Non lo guardavo, ero sempre in strada a calciare un pallone per la disperazione della mia mamma che era una professoressa universitaria e voleva che io studiassi. D’altronde la mia città, Lovanio, come è chiamata in Italia, è una importante città
universitaria. Ma non ero fatto per i libri».
Una specie di scugnizzo belga? «Ero sempre fuori, per le strade, in piazza. Dove c’ero un pallone, c’ero io. Anche mio padre insegnava e non è che facessero i salti di gioia quando mi vedevano calciare in strada. Ma alla fine hanno accettato la mia decisione: mi hanno visto felice e sono stati felici anche loro».
Il suo idolo da piccino? «Mi credete se vi dico che non ne ho mai avuto uno?».
E quelli che hanno come idolo lei? «Ah, in questo caso fanno bene. Magari se mi hanno preso al fantacalcio hanno avuto anche una bella botta di fortuna quest’anno».
Suo fratello lavora in tv, come sceneggiatore. Che film farebbe sul suo dicembre da favola? «Un kolossal. Sarebbe un film capolavoro, senza dubbio».
Per un campione come si fa a rimanere normali? «Il merito è dei miei genitori, mi hanno dato una buona educazione, la stessa che vorrò dare ai miei figli».
Tra dieci anni come si immagina? «Io non guardo troppo avanti. Magari farò l’allenatore. Spero solo di avere lo stesso sorriso di adesso. Perché qui io sto bene, molto bene».
Che pensa di chi accetta per soldi di andare a giocare in un campionato come quello cinese? «I soldi sono importanti e credo che, per esempio, il mio amico Witsel non abbia dormito per tante notti prima di dire di sì. Sono scelte complicare, perché ci sono vari aspetti di cui tener conto. E stai sempre a pensare se hai fatto la cosa giusta».
Lei invece non trascorrerà notti insonni prima di firmare il rinnovo con il Napoli? «Speriamo, speriamo… vediamo cosa succederà».
E le altre pretendenti per lo scudetto? «La Roma sta facendo molto bene. Noi stiamo facendo la Champions e abbiamo, per questo, perso per strada dei punti importanti. Lo scorso anno è successo al contrario: era la Roma a fare la Champions e noi l’Europa League. Certe gare europee si pagano poi in campionato».
Le dà fastidio quando si parla della Juve come unica squadra con una mentalità vincente? «Sì. Molto. È vero, quando vinci le cose sono più facili ma anche la nostra mentalità calcistica, sempre propositiva, dà il senso di una squadra che pensa solo a vincere».
Le piace far parte di una squadra che, a parere di tanti, gioca il più bel calcio d’Italia? «Io sono incantato dal calcio di Sarri: è un calcio dove vai avanti, quando hai la palla tra i piedi sai sempre quello che devi fare, ovvero attaccare, andare al cross, cercare di fare gol».
Arriva Pavoletti, sta per rientrare Milik: quale sarà la sua collocazione adesso? «Voglio rimanere ancora lì, mi piacerebbe giocare ancora al centro dell’attacco. Ma mi va bene anche tornare a sinistra. Ma è una scelta del mister, non mia».
Tra un mese affrontate il Real, Cristiano Ronaldo e il resto dei Galacticos. «Siamo diventati una grande squadra e il fatto di giocare un ottavo di Champions lo dimostra: non abbiamo paura di loro».
È stato eletto come il miglior giocatore del Belgio... «Una bella soddisfazione, anche lì abbiamo tanti campioni, essere il più forte nel mio Paese è la consacrazione di un lungo percorso. Ma ripeto: il calcio non si gioca da soli».
Nei tre anni napoletani, quale è stato il momento più bello? «Tanti, ma il primo che mi viene in mente è quando qui ho firmato. Era con me tutta la mia famiglia e subito dopo mi sono sentito come a casa, con i bimbi dei mie fratelli a far festa. Ho subito amato questa città e questa gente meravigliosa».
Sia sincero: ha mai pensato di andarsene, magari quando giocava poco per l’alternanza con Insigne? «Mai. Questo dualismo è stata solo un’invenzione dei giornali: basterebbe vivere lo spogliatoio per capire il clima che c’è tra tutti noi».
E ci spieghi lei: che spogliatoio è quello azzurro? «Il nostro punto di forza. Siamo in tanti, tanti amici che amano passare anche il tempo libero assieme, magari a cena oppure organizzando qualche festa».
Quanto è stato importante Sarri per la sua crescita? «Fondamentale. Le sue idee di calcio sono molto affascinanti: è unico il modo con cui lui parla di calcio, come lo vive.Le sue lezioni sono importanti per adesso, ma anche per dopo. Perché le sue idee di calcio, sono le mie».
L’anno scorso la grande delusione è stato l’Europeo con il Belgio? «Sì, i motivi del flop sono tanti. Per vincere, anche con le nazionali, devi avere esperienza. E noi siamo un gruppo che prima aveva fatto un solo Mondiale. Giocare nei grandi club d’Europa ci aiuterà in futuro».
Quali le sue passioni? «I cani. Ne ho uno che si chiama Juliette. È un randagio, un cane di strada che abbiamo adottato io e mia moglie Kat. Ma qui a Napoli stiamo aiutando anche tre canili, perché è giusto farlo».
Sua moglie Kat, quando arrivò a Napoli, mostrò delle preoccupazioni. Erano anche le sue? «In Belgio abbiamo degli amici che gestiscono un’agenzia di viaggio e quando un cliente entrava e chiedeva di voler andare in vacanza a Napoli loro provavano a fargli cambiare idea… la città è sporca, c’è la mafia… Sono stati qui con me e Kat qualche giorno e ora loro dicono a tutti quelli che entrano in agenzia: Vai a Napoli, non c’è posto più bello al mondo. Casa mia è un via vai di amici belgi che vengono qui per godersi il sole, la gente, il cibo».
Potremmo proporre a Kat un ruolo di console onorario? «Io e lei adoriamo tutto di questa città. E la viviamo giorno per giorno. Abbiamo casa vicino al mare. Poi il centro è unico al mondo, si mangia in maniera fantastica. Poi con la barca e si va a Ravello, Amalfi, Capri, Ischia, Procida».
Cosa non ama invece della sua Napoli? «A parte le interviste? La lontananza dai miei genitori, dai miei fratelli, i miei nipotini. Anche i belgi sentono la mancanza della famiglia... (ride, ndr)».
Come gestisce la passione dei tifosi? «Io vedo sempre l’aspetto positivo: se le persone vogliono una foto con me è perché mi amano e questa cosa magari a mia moglie, che mi vorrebbe avere per un minuto tutto per sé, può a volte dare fastidio. Ma alla fine piace anche a lei».
Lei visita ospedali. È sempre impegnato nel sociale. Ieri mattina è stato a Nisida. «Bisogna sempre stare vicino a chi ha bisogno di una mano. Mi ha colpito la visita al carcere minorile: lì ci sono ragazzi che hanno fatto delle cose sbagliate. Ora devono stare chiusi lì, hanno fatto degli errori, mi si stanno preparando a uscire. Ma si vede che non mollano ed è giusto che possano rimediare ai propri sbagli. Perché tutti sbagliamo».
Da quale tecnico vorrebbe essere allenato? «Sarri è il top per me».
In conclusione, cosa si aspetta dal 2017? «Vi dico cosa mi aspetto dal primo mese: non dobbiamo sbagliarlo. Dobbiamo pensare a battere la Sampdoria».
A proposito, tre anni fa alla prima del nuovo anno ospite al San Paolo fu proprio la Sampdoria. E lei fece una doppietta. «Ah sì. E spero questa volta di farne tre di gol”.
Fonte: Il Mattino