L’ultimo tabù si sgretola sotto quel missile terra-aria che a un certo punto assume il contorno d’una meravigliosa palombella e ciò che resta di questo 2016, vissuto con le star. E’ Natale e pure Insigne ha saputo essere (ulteriormente) più buono: ha lasciato che a Firenze splendesse il suo destro incantevole. E’ il campo che parla e sono le gerarchie che lo ribadiscono: diciassette partite di campionato, quattordici da titolare e, prim’ancora che uscisse Milik e Mertens divenisse la sua ombra, andava già così. Ma, ancora: quattro su sei dal primo minuto in Champions, svicolando dal turn-over. E’ un percorso (quasi) netto che va ad arricchire il curriculum vitae, che mette assieme le centottantotto partite (complessive) con la maglia del Napoli e trascina la somma della carriera a duecentosettantasei; e poi sono trentaquattro gol con la maglia azzurra, ottanta mettendoci dentro gli altri, quelli con Zeman tra Pescara e Foggia; e ci vuole poco, a questo punto, emozionarsi, pensando di essere già entrato di diritto tra gli eletti, prossimo a traguardo delle trecento da professionista, delle duecento con la squadra del suo cuore. (CdS)
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