Una vita dedicata al calcio, da giocatore ed allenatore. L’altro calcio, quello con meno televisione, quello fatto di uomini, emozioni domenicali e aneddoti raccontati. Ottavio Bianchi, oltre ad aver allenato e vinto con Maradona, ha giocato con grandi campioni. Lo dice al Corriere dello Sport…
Lei ha giocato con tre campioni assoluti: Sivori, Rivera e Riva. Mi parla di loro? Sivori com’era? «Sivori era il talento assoluto, dotato di una personalità eccezionale e di una grossissima dose di cattiveria sportiva. Sapeva di essere bravo, aveva una grande auto considerazione di sé. Allora c’era Pelé e lui non voleva essere secondo a nessuno. Aveva gli occhi dietro la testa, faceva le cose più difficili con una facilità di gioco pazzesca. Un talento naturale, con una personalità schiacciante. Lui voleva essere il numero uno sia in campo sia fuori e anche nei rapporti con i dirigenti lui voleva essere il protagonista».
Si ricorda qualche episodio con lui? «Lui non era uno che faceva molto allenamento, se non c’era la palla, e anche io ero uno che era nato con il pallone tra i piedi e mi stufavo a correre troppo e a fare gli esercizi. Poi correvo così tanto durante la domenica… Quindi sia lui che io non eravamo degli Stakanov degli allenamenti. Quando scendevamo dal pullman lui era sempre, per scaramanzia, l’ultimo e doveva sempre scendere col piede sinistro. Quando arrivavo anche io all’entrata mi diceva: “Ottavio, io e te non entriamo nell’ingresso atleti, passiamo dall’ingresso autorità”».
Rivera com’era? «Rivera è il classico giocatore perbene in tutti i sensi, era elegante, era il più grande uomo assist che abbia mai visto. Però non poteva essere uomo squadra, nel senso in cui lo erano Di Stefano o Cruyff. Rivera secondo me è stato l’esempio classico del grande giocatore finesseur. Rivera era uno di quei giocatori bandiera, che essendo stati tanto tempo nella stessa società, avevano un po’ tutto sotto controllo e quindi avevano delle licenze poetiche che altri non avevano, a loro era permesso quello che ad altri non lo era» .
E Gigi Riva? «Gigi Riva era un introverso. Un grandissimo, coraggiosissimo giocatore che anche adesso farebbe la differenza. Gigi Riva è rimasto sempre a Cagliari, ha avuto grande rispetto per questa terra. Poteva andare nelle più grosse squadre di questo mondo e non ha mai accettato. Lì era idolatrato: se lei chiedeva dove abitava Riva nessuno glielo diceva, neanche i suoi compagni di squadra. Era un vero imperatore, però se lo meritava perché è sempre stato un hombre vertical, come dicono».