Gabbiadini, un addio ormai scontato, ma che potrebbe riservare sorprese
Si fa in fretta a comprare: ma il mercato è anche altro, è rispetto per se stessi, per il proprio patrimonio da tutelare, per talenti improvvisamente inariditisi ma che hanno un valore assoluto, che non può essere dissipato. Ed è stimolante, al Bar Sport, divagare, disegnandosi la propria squadra da sogno, inserirci Pavoletti (28) o Kalinic (29), Zaza (25) o Muriel (25), però intanto c’è Manolo Gabbiadini, ch’è ancora un giovanotto (25 appena compiuti), costato undici milioni di euro nel gennaio del 2014, blindato per un bel po’ e dinanzi ad offerte sontuose e solleticanti (ventisette milioni di euro) arrivate da Wolfsburg e dall’Everton. Il mercato è un giochino, un Monopoli dei giorni nostri, in cui ognuno pensa di poter acquistare e cedere con uno schiocco di dita: e invece, va da sé, ci sono strategie, opportunità che nascono e poi muoiono ma anche difficoltà con le quali andarsi a confrontare. Manolo Gabbiadini, che a Lisbona è stato affettuosamente scortato da Silvio Pagliari, il suo manager, sa meglio di ogni altro che il suo tempo (a Napoli) è scaduto: lo dice il campo, lo sussurrano gl’irrisolti problemi, l’ha confermato il suo procuratore («sarebbe interessante un’esperienza all’estero») e s’intuisce andando a rileggere le statistiche, i suoi due gol che stridono con gli undici del primo semestre con Benitez, l’allergia da centravanti al tridente, tutto ciò che s’avverte e che definisce l’orizzonte. C’è la fila per Manolo, Southampton, Crystal Palace e Stoke City in Inghilterra; (ancora) Wolfsburg, Schalke 04 ed Amburgo in Bundesliga; o anche Marsiglia. dopo aver valutato le offerte per il Napoli e per il calciatore, ma prima ci saranno le partite e magari qualche ultimo gol per salutare a modo suo una città che lo ha amato ed ancora gli è legato, che pubblicamente gli sta al fianco intuendone le difficoltà e provando a togliergli la pressione da dentro. Cagliari, poi il Torino ed a seguire la Fiorentina: duecentosettanta minuti, ma chissà quanti per lui, che nella personalissima Napoli s’è ritrovato sempre – e non è colpa di nessuno – a dover fronteggiare le ombre, prima quelle di Higuain, poi la sagoma divenuta immediatamente imbarazzante di Milik e adesso Pavoletti o Kalinic o chiunque vogliate ed infine anche con la sua, quella di un attaccante (vero) che non è riuscito a convivere da centravanti (autentico) del 4-3-3.
Fonte Il Corriere dello Sport