Marco Casamonti, architetto fiorentino e docente universitario, ha ridisegnato lo stadio di Udine che è diventato un piccolo gioiello, sta lavorando a Tirana per lo stadio nazionale d’Albania che si avvia ad essere un modello per tutti gli impianti europei. Ma l’argomento caldo è il San Paolo…e lui ne parla ad Il Mattino:
Architetto, si torna a discutere del San Paolo. Lei quale futuro immagina per lo stadio di Napoli? «Io non penso che basti una semplice operazione di facciata. Quell’impianto è vetusto come la maggior parte degli stadi d’Italia, per renderlo funzionale e fruibile bisogna azzerare tutto e ripartire».
Insomma, abbattere il San Paolo per ricostruire un altro impianto. Magari fuori città. «No, no, io non penso affatto questo. Innanzitutto perché trovo eticamente scorretto pensare di andare a consumare altro suolo per la realizzazione di una struttura che ha già una sua collocazione, e poi perché so bene che per Napoli il calcio è lì: Fuorigrotta è sinonimo di partita, di emozioni. Io credo che per i tifosi anche i luoghi siano importanti».
Magari lo sono anche le strutture, lei invece ipotizza di rifare tutto da zero. «Io credo che un tifoso sia più legato alla zona che alla struttura: ho davanti a me l’esempio di Udine. Lì lo stadio è stato completamente rinnovato e i tifosi dal primo momento ne sono stati entusiasti».
Quello è stato un progetto difficile da portare avanti, con i lavori in corso durante la stagione calcistica. «Certo, ci sono stati disagi, ma lì si è proceduto per settori senza cantierizzare tutto l’impianto contemporaneamente, così le partite sono state regolarmente disputate mentre i lavori procedevano. Ovviamente questa maniera di operare ha portato un leggero allungamento nei tempi».
Udine rappresenta oggi lo stadio del futuro? «È un ottimo esempio. Lo abbiamo pensato come una fortezza, tutta ricoperta di acciaio ma con un chiaro rimando alla storia, al Rinascimento. Ci siamo ispirati al palazzo dei Diamanti progettato da Biagio Rossetti: futuro e passato che si incontrano hanno colpito i tifosi, e l’idea di una fortezza è stata subito assimilata».
Conosce il San Paolo? «Poco. È uno stadio concepito come si faceva una volta, è un ibrido nel quale si pretendeva di concentrare tutto lo sport, dal calcio all’atletica leggera. Ma quand’è che c’è stato l’ultimo meeting di atletica a Napoli?».
Cosa intende per ibrido? «Che oggi uno stadio va pensato esclusivamente per uno sport, in questo caso per il calcio. Io penso alla distanza che c’è fra uno spettatore della tribuna e un’azione nei pressi della porta: la pista di atletica allontana enormemente il tifoso dal campo, il pallone quasi non si riesce a vedere, a volte non si intuisce nemmeno il numero di maglia del giocatore che ha segnato».
Dunque innanzitutto va eliminata la pista. «Sicuramente va fatto. Così gli spalti possono arrivare fin dentro al campo. Ma c’è tanto altro da fare».
Cosa? «Un impianto attuale deve rispondere a tre prerogative: accoglienza, vivibilità e visibilità. E poi deve diventare vivo tutti i giorni della settimana».
Andiamo per gradi, la visibilità può esser garantita dalla cancellazione della pista di atletica. E poi? «Poi l’impianto deve essere confortevole, accogliere le persone come se andassero a vedere uno spettacolo, anche perché vanno realmente ad assistere a uno spettacolo. La vivibilità va garantita anche con nuove idee: vanno aperti spazi per il commercio, per la ristorazione, per la ricettività».
A Udine è andata così? «A Udine non c’è l’albergo ma c’è tutto il resto. L’area commerciale che si trova nella parte inferiore dell’impianto deve ancora essere completata eppure tutti gli spazi sono già stati prenotati: è già pronto a diventare un luogo vissuto quotidianamente».
Lei è certo che uno stadio «incastrato» nel tessuto urbano come il San Paolo possa essere pronto a questa rivoluzione? «Proprio perché si trova in quel luogo è pronto. Ci sono collegamenti con il trasporto pubblico, la tangenziale che arriva esattamente davanti allo stadio: sarebbe subito fruibile dai napoletani. Ovviamente badando alla realizzazione di adeguate aree di parcheggio. Noi dobbiamo smettere di pensare allo stadio come luogo della domenica, oggi uno stadio deve essere concepito come edificio urbano, come parte della vita della città. Ecco, questo a Napoli già ci sarebbe».
Architetto Casamonti lei pensa in grande. Qui è tutto difficile. «Io sono certo che Napoli ha grandi potenzialità, non dubito che certe cose si possano fare. Ovviamente bisogna avere idee chiare e voglia di farle».