La pace sia con loro: con quei mille che pregano, senza mischiare stavolta il sacro ed il profano, e ascoltano la parola del Signore. E’ un rito, e non si parli di scaramanzia, perché con la fede non si gioca, e neanche s’ironizza: è una abitudine ormai consolidata, che scandisce il tempo e avvicina la gente. E’ una questione di fede, ma autentica, e non c’entra il calcio, oppure può essere accostato a essa, come simbolismo dialettico. Il cardinale Crescenzio Sepe entra in campo poco dopo mezzogiorno, sale sull’altare intorno alle dodici e mezza, e si rivolge da appassionato alla folla, prima di celebrare la Santa Messa. E’ un discorso diretto, con un frasario anche sportivo che assorbe allusioni, e sono messaggi che servono per aiutare a stemperare quel clima di malinconia lasciato dall’addio di Higuain. «Se qualcuno vuole andare via, lo faccia. Qui nessuno è indispensabile, solo Cristo. E comunque, scurdammoce ‘o passato. Non tutto il male viene per nuocere. Si può ripartire e costruire una squadra che possa competere con la Juventus» SANTO SUBITO. C’è tanta gente sugli spalti, assiste e segue con devozione, senza alterare il clima mistico che sembra favorisca le riflessioni «allargate» anche del Cardinale, con i toni disincantati e comunque carichi di conoscenze: «Quel Milik è robba bbona, l’ho visto all’Europeo, di prima qualità. E se dovesse venire pure Icardi…».
DOPO IL CALVARIO. Prima della messa, il cardinale Sepe dedica qualche parola al Napoli, ripartendo dalla genesi di questa epoca, cominciata nel 2004 e al termine di un calvario (calcistico) che aveva condotto il club al fallimento: «E con De Laurentiis è stato un miglioramento continuo, ricordo che giravo per il mondo e quasi mi vergognavo del Napoli che stava in serie C. Con lui, siamo saliti in serie B, in Serie A e ogni anno un miglioramento. Ora manca l’ultimo tassello. E comunque adesso abbiamo qui un allenatore, dov’è Sarri, ah eccolo lì, che io considero un mezzo santo, quasi un santo, perché lui sa fare i miracoli. Lui è un maestro di calcio». E’ una investitura e un cenno indiscutibile di fiducia, un atto anche di simpatia evidente verso il tecnico. Ma il Cardinale ha preparazione anche calcistica, ha conoscenze, ha il desiderio d’esprimere se stesso e provvede a ricacciare via, ammesso che ancora esista, quella cappa di mestizia delle prime giornate del post-Higuain: «Poi qui abbiamo la cresta di Hamsik che ci fa da guida: gli ho detto, guagliò tu hai due responsabilità. Insigne, poi: napoletano verace, che con la Nazionale ha fatto bene, dava sempre la svolta. E comunque voglio anche dire che abbiamo fatto grandi passi in avanti, è stato un miglioramento continuo… Ora manca l’ultimo tassello». Richiesto anche a tavola, dove De Laurentiis e Sepe siedono uno vicino all’altro, dopo che il presidente ha preparato (anche) paccheri basilico e pomodoro.
L’INCITAMENTO. E’ un caldo umanamente sopportabile e c’è la serenità che infonde il cardinale Crescenzio Sepe, intorno al quale ci sono anche don Maurizio Patriciello, il prete anticamorra che combatte nella Terra dei Fuochi, e Padre Rosario Accardo, che lo accompagna in questo blitz di mezza giornata da Napoli a Dimaro-Folgarida e ritorno, assorbendo un bagno di folla e di cronisti con disinvoltura, disquisendo prima per chiunque e poi singolarmente, per interviste-lampo. Ma ci sono ragioni di cuore che evidentemente non possono essere nascoste e ciò che vuole il pubblico d’uno stadio trasformato in luogo sacro è anche quello che si aspetta il cardinale Sepe, che sorride a De Laurentiis prima di un’invocazione: «E mo’ vulimme ‘o scudetto». In alto i cori.
Fonte: il Mattino