Maurizio Sarri: “Juve e Higuain, vi aspetto al San Paolo!”

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Gli uomini cambiano e un anno dopo, Maurizio Sarri, pur restando fedelmente se stesso, trasmette le certezze che parevano perdute, infonde le sicurezze che sembravano vacillare, s’accomoda dinnanzi al taccuino del Corriere dello Sport-Stadio e confessa la sua «nuova» natura, ch’è assai simile a quella del passato, ma che stavolta sprigiona un’autorevolezza rimasta soffocata nei giorni del suo avvento dalla curiosità morbosa verso quel «debuttante» che ha sbaragliato le più ottimistiche previsioni. E’ un pomeriggio d’un giorno di pioggia, ma cattivo tempo e bel tempo non durano tutto il tempo: Higuain è appena sparito dai radar ma compare proprio ora in tv e ciò che accadrà sul mercato è materia specialistica dalla quale tenersi alla larga. «Io alleno». E però parla, per la prima volta, senza mai rifugiarsi nella banalità, senza andare a cercare diagonali di passaggio difensive, senza rincorrere il vuoto pneumatico: c’è Higuain, c’è la sua vocazione a voler(si) divertire, c’è la piacevole dimensione di ritrovarsi al centro di un «progetto» che ora è diverso ma che resta intrigante come una tela vuota, sulla quale andare a incidere un (altro) capolavoro.

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Senza perdersi in giri di parole, è un’estate diversa rispetto a quella del 2015…

«Ma questa è persino più difficile di quella precedente. E’ stato un ritiro frastagliato, perché gli Europei hanno ritardato gli arrivi di parecchi giocatori, e dunque abbiamo lavorato a scaglioni e con molti ragazzi. E’ il prezzo che bisogna pagare a questo calcio, che prevede preliminari vari e notturne di ogni genere persino nella fase d’avvio, quando in genere è ancora tempo di mare. Devo abituarmi a queste condizioni, ma non è semplice per me». 

E’ l’argomento del momento e rischia di esserlo per un bel po’: nel luglio del 2015 accoglieva Higuain; stavolta, un addio senza neanche salutarsi. 

«Mi risulta difficile soffermarmi su di lui che ho appena visto con indosso la maglia della Juventus. Ne parlo, ma non volentieri. La scelta è stata sua, perché l’offerta che gli è stata fatta da noi era in linea con ciò che poi gli è stato concesso altrove. E’ chiaro che perdiamo un giocatore determinante, il più forte centravanti al mondo, ma dal punto di vista personale resta l’amarezza: perché mi aspettavo che facesse almeno una telefonata, magari cinque minuti prima che cominciasse le visite mediche. Sono abbastanza vecchio, però, per non meravigliarmi». 

Il mercato è un’ossessione… 

«Per voi, non per me, che resto sempre un passo indietro a queste dinamiche. Io non entro mai nelle analisi, mi sembra che sia cosa risaputa: attendo che si chiuda. Mi ha ferito persino che si parlasse di Higuain, prim’ancora che andasse alla Juventus. Per quel che mi riguarda, sono l’allenatore del Napoli, e devo dar fiducia a Gabbiadini, che ha mezzi da sfruttare» 

Il suo Napoli dei record perde il miglior pezzo: come si ovvia a quest’assenza? 

«Spalmando le responsabilità sul gioco, sul collettivo. Bisogna ovviare a quest’assenza. I fuoriclasse sono pochi: ne abbiamo perso uno, non certo la voglia di giocare come piace a noi». 

Il clima esterno, l’umore della gente, lo cogliete? E vi crea disagio? 

«Quando va via un calciatore di questo livello, è normale che si registri il malcontento. Ma la stragrande maggioranza dei tifosi sono già oltre. Io ho colto grande entusiasmo intorno a noi e simpatia, forte, ad esempio, per Gabbiadini. La gente ci sta aiutando e certo noi abbiamo fatto l’impossibile, perché nel nostro ritiro ci sono sempre state le porte aperte. E’ straordinario, ma anche faticoso, e non a caso alcuni club preferiscono fare sedute riservate o andare all’estero. Spero che questo venga apprezzato». 

E all’interno del Napoli cosa ha lasciato lo strappo di Higuain? 

«Anche i ragazzi si aspettavano un saluto. Non mi risulta ci sia stato. E però tra calciatori queste scelte vengono assorbite più facilmente. Certo, un pizzico di sconcerto lo registri, ma poi c’è il campo che aiuta a dimenticare». 

Discorso fatto alla squadra, ora che ce l’ha tutta con sé. 

«Poche parole: non ci piangiamo addosso; non abbiamo alibi; siamo forti; e l’anno scorso abbiamo giocato tre partite senza di lui e fatto sei punti: non male, mi pare». 

Sta per arrivare la Champions: che impatto emotivo avrà su di lei? 

«Mi sembra già difficilmente credibile esserci ed invece è accaduto. Vale per tutti: l’attesa per il sorteggio, l’ansia di vivere quelle serate. E’ la manifestazione per club più importante. Devo prima arrivarci, ma ho il sospetto che alla musichetta un po’ vacillerò. Poi penserò alla partita, ovvio». 

Il campionato ha gerarchie nette: c’è la Juventus, poi le altre… 

«Siamo al cospetto di una squadra che da cinque anni vince lo scudetto e questo è un dato inquietante per il movimento calcistico italiano, perché rende il prodotto meno appetibile. Hanno grosse responsabilità anche loro, perché c’è sempre il campo che deve dare il proprio responso. Chi sta alle spalle sa di non dover illudere, ma di credere in se stesso: perché anche i favoriti possono sbagliare».

Ma è giusto dire che voi, attualmente, potreste essere le prime delle seconde?

«Non ci penso, non lo so ma mi sembra inesatto. La Roma nel girone di ritorno ha fatto meglio di noi; la Fiorentina se ritrova la continuità del girone d’andata ha un impianto di gioco notevole; l’Inter è già attrezzata e sono curioso di vedere il Milan. E mi sarebbe tanto piaciuto vedere Bielsa, se ne sarebbe tratto giovamento dal suo arrivo. Ma è un errore sentirsi i favoriti alle spalle della Juventus».

Il destino del campionato che verrà è già segnato, dunque? 

«Sulla carta, sì. Però ci saranno trentotto partite e posso assicurarvi che loro ne avranno una difficilissima, quasi proibitiva, il 2 aprile allo stadio San Paolo».

L’anno scorso avete a lungo incantato con il gioco: ripartite da quello, ovviamente dal tridente, o ha idea di modificare (a volte) qualcosa? 

«Le analisi e lo studio delle caratteristiche dopo la fase d’avvio della passata stagione ci hanno spinto a valutare questo Napoli idoneo al centrocampo a tre e così andremo avanti, tranne in rari spezzoni di partite». 

La garanzia, nell’immaginario collettivo, viene ritenuta Sarri, e se ne sarà accorto dal calore nei suoi confronti: sarà una bella responsabilità. 

«Bisogna ragionare limpidamente: la nostra struttura societaria è unica, perché il Napoli appartiene ad una famiglia e non è in mano a gruppi finanziari o a galassie straniere. Il nostro modo per essere competitivi, sempre, dovrà passare da prospettive diverse. Io avrò l’obbligo di far crescere i giocatori ed è una soluzione condivisibile». 

Senza fare paragoni scomodi, dall’Ajax a Michels, però questo ruolo da capo d’un laboratorio le piace? 

«Sono semplicemente orgoglioso».

Invidia” ad Allegri quella squadra? 

«L’invidia è un sentimento poco nobile, non è in me. Sono contento di essere qui e del mio percorso compiuto per arrivarci. Faccio il lavoro che voglio e con la squadra per la quale ho sempre tifato. La condizione invidiabile è la mia. Loro sembrano imbattibili e comunque in Italia ci sono club con grandi aspirazioni. E poi il bianco e il nero non sono colori che mi si addicono». 

L’anno scorso siete stati in corsa per lo scudetto fino ad un mese e mezzo dalla fine del campionato: firmerebbe per una stagione come l’ultima?  

«Io non firmo un bel niente. Abbiamo chiuso lo scorso campionato con un più sette in media inglese; la Juventus ne ha vinte 28 nelle ultime 30. Reggere era quasi impossibile e non abbiamo niente da farci perdonare. Però si riparte da zero ed io non le firmo nulla».

Fonte Corriere dello Sport

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