Approfondimento – Una fenice chiamata Napoli: la rinascita targata Maurizio Sarri
Il concetto di “panta rei” – dal greco “tutto scorre“, stupenda percezione esistenziale di Eraclito – è un qualcosa che a Napoli ultimamente i tifosi hanno imparato ad apprezzare. La mutazione di questa squadra è stata fenomenale e i risultati che Sarri e i suoi uomini stanno raggiungendo in questa stagione hanno dell’incredibile. Anzi, dell’impensabile, oserei dire. Esagero? Facciamo un salto temporale, allora. Ultima parte di stagione, un anno fa’. Alla guida tecnica degli azzurri troviamo Rafa Benitez e il Napoli è alle porte di uno dei finali stagionali più controversi della propria storia calcistica.
Il tecnico spagnolo dava il benvenuto al mese di aprile con le sue dichiarazioni sempre più enigmatiche ed ambigue riguardo il proprio futuro e la propria permanenza in azzurro, mentre il Napoli restava aggrappato al terzo posto e proseguiva il proprio cammino europeo, approdando in semifinale contro la favola Dnipro. Un finale di stagione che sembrava promettere bene e invece, cala la notte: la clamorosa eliminazione contro il Dnipro, lo spogliatoio che si spacca e una squadra che si sfalda contro un Parma già retrocesso e contro una Juventus già appagata del matematico scudetto. E poi, la sfida con la Lazio. Una finale alla 38^ giornata: surreale, l’unico termine adatto a descrivere quella gara dove il confine tra gioia e dolore non è mai stato così sottile per la tifoseria partenopea.
Dopo quella gara, dopo la caduta dal terzo al quinto posto, dopo una stagione quasi fallimentare, Benitez lasciava indenne una Napoli distrutta, voglioso di incoronare il proprio sogno in quel di Madrid, sponda Real. Una squadra da rifondare, una tifoseria avversa nei confronti della squadra e della società. Insomma, questo Napoli ripartiva dalle ceneri, ma si sa: da queste solitamente rinascono le fenici…
Poi, venne Maurizio Sarri, l’uomo giusto al momento giusto. Il profilo adatto per un De Laurentiis a cerca di un riformatore per il suo Napoli. Un allenatore poco british, con meno fascino internazionale di un Emery o di un Montella, eppure un’allenatore vero, nel senso etimologico della parola. Un tecnico umile, lavoratore e amante dello sviluppo dei propri ragazzi, senza andar a scomodare troppo le casse della società. Eppure, l’inizio non è dei migliori, zoppicando nelle prime giornate di campionato. Gli avvisi di ridimensionamento da parte di ADL, però, non valgono a demotivare il tecnico toscano. Il gioco inizia così ad arrivare, i risultati di conseguenza: girone di Europa League dominato, titolo di campioni d’inverno e un sogno, quello di riportare in terra partenopea uno scudetto che manca da troppo, troppo tempo. E come il Napoli è rinato dalle proprie ceneri, così, molti altri elementi della rosa azzurra: Jorginho, Albiol, Koulibaly. Sarri corregge e sprona i propri giocatori, poco importa se hai un passato nel Real Madrid. E poi il lavoro fatto con Higuain… Tra i due viene ad instaurarsi un rapporto stupendo, fatto di stima e rispetto reciproco, con un Pipita che passa dai fischi e dagli sfoghi delle stagioni precedenti, ad una stagione da 29 reti in 30 partite. Insomma, Sarri mette al centro del progetto proprio quei giocatori che l’anno scorso erano stati crocifissi dalla tifoseria.
Ad un anno di distanza, il Napoli ora può guardarsi alle spalle e notare tutto il bene fatto dal tecnico toscano: una difesa resa finalmente impermeabile, un gioco tra i più qualitativi in Europa ed il gap con la Juventus quasi livellato del tutto. Già, perché non bisogna dimenticare che questo Napoli non distava molto dai bianconeri, dominatori assoluti del campionato.
Nulla da disperarsi quindi per Sarri e la città, perché una stagione così è già un’opera d’arte. Per diventare un capolavoro, però, manca solo una cosa: una toppa, tre colori e tanta, tanta scaramanzia nel pronunciare quella parolina.
A cura di Alessandro Montano