Lettera a Sacchi – Carratelli: “Caro Arrigo, su Insigne ti sbagli. Alla fine tu su uno scudetto hai creato un impero!”
Caro Arrigo ti scrivo così, da vecchio amico, ti contesto un po’.Ma cos’è questa storia che Insigne deve andarsene da Napoli per maturare meglio, perché qui la città l’opprime, perché come alsolito, ma non è esattamente così, nemo propheta in patria? L’avresti detto da allenatore? Ora fai il giornalista e puoi parlare più in libertà, ma insomma. Anche quella storia che non abbiamouna squadra con la mentalità vincente.Lascia ci vincere un po’, se sarà possibile, e poi vedremo. Lo sai bene tu che vincesti un solo scudetto col Milan e su quel titolo hai costruito in Europa e nel mondo la tua leggenda.
Ora facci godere il bel gioco di Sarri. All’età di 25 anni Lorenzo, pur conservandosi ragazzo e avendo forse una sua fragilità intima, è un giocatore maturo. Gioca per la squadra, è ligio ai compiti tattici, va fuori giri solo quando non gli riesce il suo celebre tiro ad arcobaleno. Vorrebbe fare sempre di più.Non ha misura. Piaceva molto a Zeman (posso dirlo?) che lo lanciò. Ha avuto qualche problema, come dire?, tattico con Mazzarri e Benitez. Entrava e usciva. Trattato come una comparsa.Non è che lui si credesse e si crede un campione, ma, insomma, come tutti i campioncini aveva ed ha bisogno di sentirsi«accarezzato». Con Sarri, nonostante la staffetta con Mertens,15 volte sostituito dal belga in finale di partita, 11 volte da altri (ElKaddouri, Callejon, Maggio, Gabbiadini), le cose vanno meglio anche se è umano che qualche volta, nelle partite in cui non riesce a dare il giusto, rientra rabbuiato in panchina e fa qualche gesto di insofferenza.Vogliamo per questo mandarlo a “maturare”a Busto Arsizio? Sugli spalti siamo tutti sapientoni. Giudichiamo“di pancia”. Volano i fischi e le contestazioni. Ne subì anche Maradona nel suo ultimo anno (ma c’era chi sobillava quei fischi). E Antonio Juliano? Pagava sul campo il suo essere un napoletano bianco, come avrebbe detto Brera, cioè un non-napoletano, uno di qua non da stereotipo, serio,disposto al sacrificio, umile benché camminasse impettito (anche sul campo), niente pizza e mandolini. Quanto è stato contestato Antonio Juliano? Tanto. Ma ha retto, è andato avanti, è stato un centrocampista tra i migliori d’Italiain anni in cui giocavano Rivera e Bulgarelli, De Sisti e poi Antognoni. Juliano se ne infischiava delle contestazioni. Bene, Totonno era più maturo: è vero. Ma di un’altra generazione. Veniva dal dopoguerra, dai sacrifici di quel tempo. Un’altra “razza”, più resistente, più attrezzata, più consapevole. Boniperti, piemontese di Barengo, un villaggio novarese, è stato juventino a vita. Sapeva scegliere chi correva per lui e le vacche gravide nell’ingaggio, cervello fino.Mai contestato, ci mancherebbe. Stavano tutti sotto il suo schiaffo. Padrone in una squadra padrona. E ci sarà anche una differenza di latitudine fra Torino e Napoli senza tirare fuori la storia dello scirocco con cui Brera ci condannava a periferia africana. Il bolognese Bulgarelli è stato un idolo nel Bologna e nessuno ne contestava la vita brillante. E il romano De Sisti nella Roma? E, più di tutti, il Pupone di Porta Metronia, re di Roma e della Roma? Molti i propheti in patria. È che, a Napoli, noi siamo sapientoni, supercritici, piripacchi e sfrantummati, comed iceva Rosetta Iervolino. E un po’ gradassi con i più fragili. Rispetto ai calciatori che sui media nazionali, i più importanti al nord, guarda caso, vengono definiti in un baleno strepitosi per una sola prodezza e anche per un gol in fuorigioco, ma giocano nelle squadre del nord, questo è il punto,qui, da noi, i nostri facciamo fatica a coccolarli, inneggiarli, eleggerli a immensi. Un po’ è l’invidia tipicamente meridionale, molto il gusto di abbattere dopo avere portato in alto, che è un altro nostro tic. Con Diego è stato diverso, ma era il nostro angelo paracadutato a Fuorigrotta. È veramente credibile che Lorenzo Insigne maturerebbe meglio lontano da Napoli? Oltre il Po? Sotto il Po? A fianco del Po? E non è che in un calcio di numeri, muscoli e centimetri non ci sia più posto per i fantasisti (ricordiamoci però gli esili di Roberto Baggio e di Gianfranco Zola, sacrificati dai Khomeini della panchina). La fantasia si fa sempre largo. È sempre bella. Illumina il calcio. Lorenzinho non ne approfitta, non è un individualista irriducibile. Quando gli manca il gol, un po’ si incaponisce a scagliare i suoi traccianti d’arcobaleno, perde lucidità ed equilibrio, si maledice in cuor suo prima che dagli spalti molti altri lo maledicano.Ora, uno come Lorenzo Insigne lo possiamo anche discutere per i suoi limiti, ma è da amare perché sente molto la maglia azzurra, molte volte anche troppo e sbiella. Perché mandarlo al confino? Uno come Van Basten, caro Arrigo, dove lo manderemmo per maturare, per fargli capire che il centravanti non è lui, e lui non è tutto, ma che il centravanti e il tutto stanno in panchina? Colpo basso, caro Arrigo, lo so.Ma caroamico ti sto scrivendo così ci distraiamo un po’. Ti scrivo «di pancia» in una giornata di soffocante scirocco nel golfo. Tu, invece, sempre così lucido, preciso, inimitabile, nel fresco di là dal fiume tra gli alberi. Non è che si vede gran calcio in Italia e Insigne è un piccolo tesoro, condannato dal suo cuore azzurro a battersi qui con molti applausi e molti fischi quand’è il caso.Senza però farne un «caso». Fonte: Il Mattino