Impressiona vedere la parola ergastolo legata al calcio: è la prima volta che accade. L’ha pronunciata ieri il pm Eugenio Albamonte chiedendo il massimo della pena per Daniele De Santis: uccise Ciro Esposito, ferendolo a morte in un agguato a poche ore da un FiorentinaNapoli che assegnava la Coppa Italia. Era il pomeriggio del 3 maggio 2014. A Roma doveva essere una festa, finì in tragedia. Non sappiamo che cosa decideranno i giudici di primo grado e poi d’Appello e di Cassazione. Oggi registriamo che la richiesta di pena è alla stregua di delitti efferati come quelli di Garlasco (Chiara Poggi) e Perugia (Meredith Kercher). Al di là delle verità giudiziarie che emergeranno, resta un senso di impotenza. Perché un ragazzo è morto per andare a vedere una partita, e anche perché certe dinamiche emerse lasciano dubbi e interrogativi verso quella prevenzione indispensabile in certi avvenimenti. Un dirigente della Digos, Diego Parente, ha dichiarato in dibattimento che ci sarebbero state altre «tre persone, poi scappate, a spalleggiare De Santis». E «secondo fonti confidenziali», costoro sarebbero stati sottoposti «a una sorta di processo da parte del tifo organizzato romanista» per aver abbandonato l’amico. Assurde pratiche delinquenziali portate anche sugli spalti. Quel maledetto 3 maggio, per una illogica decisione i tifosi provenienti da Firenze vennero sistemati nella curva Sud dell’Olimpico, mentre ai napoletani fu riservata la curva Nord. Nessuno mai ammetterà che questo accadde anche perché i romanisti non volevano i napoletani sul loro «territorio» e questo complicò non poco l’ordine pubblico, creando buchi sconcertanti. Un altro fatto di cronaca di questi giorni diventa allarme. Gli ultrà romanisti hanno esposto striscioni minacciosi fuori dalla curva Sud perché questa è stata assegnata ai tifosi milanisti per la finale di Coppa Italia del 21 maggio con la Juve. Tutto ciò in nome di Antonio De Falchi, morto per infarto nel giugno 1989, inseguito a Milano da ultrà rossoneri. Una cosa è la memoria e il rispetto, un’altra la vendetta che uno stato di diritto non può contemplare. Bisogna sradicare questo primitivo e animalesco senso di difesa del territorio. Serve una prevenzione efficace ed è necessario che il calcio non si tiri fuori dalla mischia con la solita frasetta: «Non sono tifosi». Piaccia o meno, questa gente fa parte del mondo del pallone e cerca di condizionarlo. Isolarli è un dovere civico. Perché non ci siano altre mamme a piangere Antonio, Ciro e tanti (troppi) altri ragazzi.